Dopo l’esperienza televisiva, il duo palermitano esordisce sul grande schermo con Lo zio di Brooklyn (1995), che ne mostra le caratteristiche che saranno peculiari di tutta la loro opera. La location di una Sicilia diroccata e apocalittica, popolata da personaggi disadattati e mostruosi, è simbolo di un’umanità sopraffatta dai piaceri logori del mondo animale. La storia è progressivamente dilatata su toni grotteschi e altamente provocatori, che solo una chiave di lettura attenta può ben decifrare. Il fine di esacerbare questi racconti stravaganti è raggiunto grazie ad attori, come quelli già citati sopra, non professionisti, talora presi dalla strada, e di essa padroni e ottimi rappresentanti.
Ma è con Totò che visse due volte (1998) che sfidano lo Stato, la Chiesa e la Censura. Le caratteristiche sono non dissimili dall’opera precedente, ma stavolta il leitmotiv è la morte di Dio e di ogni affiliato spiritualismo. Il film, bigottamente, sarà inizialmente vietato a tutti e sequestrato, per poi esserlo soltanto ai minori di 18 anni. Nell’opera più provocatoria di Ciprì e Maresco sono evidenti le influenze Nietzschiane, pregne di un nichilismo cosmico di cui il loro lavoro non può non tenere conto. Le accuse di blasfemia risultano infondate, per un’opera che non fa altro che muovere critiche intelligenti a istituzioni fin troppo secolarizzate. Anche quando la pellicola sembra scadere nell’oscenità, la sua “purezza” è ottimamente protetta da particolari scelte di montaggio, che la riempiono superbamente di una fresca e singolare originalità.
Il nostro duo torna dietro la macchina da presa anni dopo, con Il ritorno di Cagliostro (2003), divertente commedia grottesca, con toni di sfida più liftati, che mette in scena la nascita del mezzo cinematografico e la fine dei progetti “ambiziosi” di una compagnia sicula che voleva farne parte. Si entra nel campo del meta-cinema quindi, già predisposto nelle opere precedenti con eccellenti inserti narrativi apparentemente fuori contesto, ma sapientemente amalgamati agli stralunati intrecci. L’ultima fatica della premiata ditta Ciprì-Maresco al momento resta Come inguaiammo il cinema italiano (2004), documentario sui generis dedicato alle figure di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Particolare menzione agli sketch che illustrano le forme di arte di strada che troviamo tra un documento e l’altro. Oltretutto da appuntare il dilettevole contributo di alcuni critici cinematografici italiani, all’interno del documentario, che fra il serio ed il faceto dipanano curiosamente le proprie impressioni su Franco e Ciccio.
Per concludere bisogna perlomeno citare alcuni lavori a cui hanno partecipato i due registi isolani da “separati”. Daniele Ciprì è stato direttore della fotografia in pellicole del calibro di Vincere (2009), di Marco Bellocchio e La pecora nera (2010) di Ascanio Celestini. Franco Maresco, invece, ha persino esordito alla sua prima regia “in solitario” col documentario Io sono Tony Scott, ovvero come l’Italia fece fuori il più grande clarinettista del jazz (2010). Non crediamo ci sia bisogno di aggiungere altro. Solamente che va dato assolutamente credito ad una nota stilistica come quella di Ciprì e Maresco, ottimi pionieri del teatro dell’assurdo umano Made in Italy. Ci auguriamo vivamente che prima o poi questi due magnifici figli del grottesco riescano ad essere apprezzati anche da un pubblico più vasto, liberandosi così dal soffocante giogo dell’ipocrisia.