È un argomento delicato quello delle reunion, spesso – quasi sempre a dire il vero – facile preda di snobisti e anti-passatisti che non vedono l’ora di poter dire ancora una volta che “i vecchietti non hanno più idee“. Mai come in questo caso però i predatori avranno vita molto difficile, perchè i vecchietti in questione di idee ne hanno da vendere…
Negli ultimi anni, di band magicamente riconciliatesi per il tempo sufficiente a pubblicare un paio di inediti se ne sono viste fin troppe. “Lo fate per i soldi?” è la domanda principale, spesso l’unica, e la risposta ovviamente è sempre negativa, le motivazioni sono soltanto artistiche e/o passionali, improvvisi ritorni di fiamma si sono verificati tra artisti che magari nel corso degli anni non hanno mancato di scambiarsi frecciate più o meno velenose, e il tutto è stato ogni volta giustificato dal potere della musica e non dal colore dei soldi. Purtroppo però la realtà è tutt’altra faccenda, ed è difficile approcciarsi all’ascolto di un reunion-album in maniera obiettiva, memori di episodi riuscitissimi – Litfiba docet – ma altri decisamente da dimenticare (qualcuno ha detto “Van Halen”?). Insomma, la notizia di una reunion è sempre da prendere con le pinze, ancor di più se tale reunion arriva dopo più di 30 anni di sostanziale silenzio.
35 anni, tanti ne sono passati dal secondo, ultimo e strabiliante lavoro dei The Pop Group, storica band di Bristol guidata da Mark Stewart e votata a sperimentazioni perennemente in bilico tra nervosismo punk, funk ballabili, improvvisazioni jazz e limpidi esempi della new wave più illuminata. “For How Much Longer Do We Tolerate Mass Murder?”, pubblicato dalla Rough Trade nel 1980 è ancora oggi un album ricco di genialità, colpi inaspettati e vere e proprie rivelazioni artistiche, forse non seminale quanto il suo predecessore “Y”, ma sicuramente un importantissimo tassello del grande mosaico post-punk, un disco che diventa pietra tombale della band, che come rapidamente era esplosa, così altrettanto rapidamente si scioglie, lasciando in eredità ai posteri vere e proprie perle di avanguardia musicale.
Avanguardia, è proprio questa la parola giusta per affrontare “Citizen Zombie“, il terzo album ufficiale pubblicato sotto il nome di The Pop Group uscito il 23 febbraio scorso, perchè – volendo citare Paul Valéry – “tutto cambia, tranne l’avanguardia“, e così accade nella musica di Stewart e soci, e chi si aspettava un disco in cui riassaporare l’aura post-punk degli ultimi anni ’70 e dei primi ’80 sarà sicuramente corso a rispolverare “Y”, o il sopracitato “For how much…”, inorridito dagli 11 brani apparentemente arrotondati, intrisi di dub e funky come ai vecchi tempi, ma al contempo ammorbiditi da arrangiamenti molto più puliti e sonorità sempre più sintetiche e di facile ascolto. Ma è proprio qui che la band (nella stessa formazione del 1980, eccezion fatta per John Waddington) dimostra il proprio carattere immutabile, quell’avanguardia che non cambia mentre tutto – sound compreso – cambia.
Perchè l’avanguardia non è nostalgica, nè tantomeno può essere anacronistica, l’avanguardia e gettare gli occhi oltre la siepe, oltre il muro dell’attuale per intuire la direzione, e così fanno i Pop Group, scegliendo scientemente di mettere da parte facile lacrimucce per i tempi che furono e suonare la musica di domani.
Basta mettere il cd nello stereo e dare il via alla title track per rendersene conto: “Citizen zombie“ apre il disco e diventa nel giro di pochi secondi una vera e propria dichiarazione d’intenti. C’è tanto – forse addirittura troppo – dello Stewart solista dei primi eighties, soprattutto dei suoi esperimenti con il dub e i ritmi danzerecci, ma come già detto non troverete nulla di nostalgico, bensì un punto di partenza, una corsia di accelerazione per alcune delle sonorità più moderne che si siano ascoltate negli ultimi anni.
La seguente “Mad Truth”, singolo di lancio dell’album, è un disco-funk deviato da riuscitissimi echi chitarristici, ma è da “Nowhere girl” in avanti che troviamo il vero e proprio salto nel vuoto: abbandonate le flebili tracce degli antichi afrori, una schizofrenica visionareità prende possesso di Mark Stewart, ma soprattutto dell’accoppiata Sager-Smith, e l’incedere dell’album rimbalza come una pallina in un flipper tra il pop vibrante di “S.O.P.H.I.A.”, lo space-rock e l’elettronica gracchiante di “St. Outrageous”, uno dei pezzi migliori, e i genuini beat funky-dancefloor di “Box 9″ e “Shadow child”, passando per le sperimentazioni quasi house di “Age of miracles”.
In questo marasma di generi che si incrociano e sovrappongono la band muove anche un piccolissimo passo falso con la conclusiva “Echelon”, sbilenca ballata accompagnata dalle tastiere che suona come lo sfogo di un qualche bisogno personale più che una parte del disegno di “Citizen zombie“.
Brano dimenticabile, ma che non incide sulla riuscita dell’album, soprattutto alla luce dei due più riusciti esperimenti del disco: la prima, “The immaculate deception”, tutta stereofonia e feedback, gioca con l’ascoltatore, lo trascina e lo sballotta a destra e a manca regalando scorci di una musica artificiale ma mai artificiosa, bensì ricca di quel pathos che fin troppo spesso sparisce nei generi da pista, e la seconda, “Nations”, un electro-minimal che appare inizialmente innocuo, ma diventa spasmodico secondo dopo secondo, con la drum machine che procede senza variazione ma saturando ogni mid-tempo, e le voci campionate che donano un non so che di marziale ad un brano che i più attenti forse ricondurranno a qualcosa dei Suicide o dei Pere Ubu più comprensibili.
Quando le ultime note di “Echelon” mettono la parola fine al disco le vibrazioni sembrano non fermarsi e proseguire ancora per diversi minuti, e così l’ascolto assume la connotazione di un’esperienza diversa, insolita, che lascia il segno proprio come un tempo…
Certo, oggi non c’è più la Tatcher da contrastare a suon di bordate musical-politiche e il punk è morto e sepolto da tempo, ma è proprio questo il punto: tutto è cambiato, tranne l’innata indole visionaria del Pop Group meno pop che sia mai esistito, e se prima Stewart e compagni erano – parole di Sager – “tutti dei Rimbaud adolescenti”, dopo 35 anni certamente adolescenti non lo sono più, ma sembrano non aver mai abbassato lo sguardo, volto sempre là, oltre questa maledetta siepe, e possono ancora raccontare a tutti come sia l’orizzonte…
Written by Emanuele Bertola
Info
Sito The Pop Group
Tracklist
- Citizen Zombie
- Mad Truth
- Nowhere Girl
- Shadow Child
- The Immaculate Deception
- S.O.P.H.I.A.
- Box 9
- Nations
- St. Outrageous
- Age Of Miracles
- Echelon