Il cinema che (ri)costruisce la realtà
Schermo nero con una riga di luce in alto nell’inquadratura fissa e allo stesso tempo in movimento, che dà la sensazione di essere dentro a una galleria e una voce off che racconta un primo contatto da parte di un anonimo, che si firma “Citizen Four”, che ha delle rivelazioni sulla sicurezza delle informazioni dei cittadini nel mondo.
E’ l’incipit di Citizenfour di Laura Poitras che c’introduce in un mondo altro, segreto, dove tutti sono controllati senza che nessuno lo sappia. Solo in seguito, passo dopo passo, con un montaggio che alterna riprese di specialisti di sicurezza informatica in convegni pubblici a un processo per l’intromissione della privacy portato avanti da alcuni cittadini statunitensi nei confronti del loro governo e inquadrature fisse su schermo nero dove scorrono le mail criptate tra Citizen Four e Laura Poitras, scelta dall’anonimo per diffondere le informazioni in suo possesso.
Solo dopo venti minuti, ritornando in quella galleria buia, alla fine ne usciamo e scopriamo di essere a Hong Kong. Le riprese continuano all’interno di una camera d’albergo e incontriamo un giovane che dichiara di essere un agente CIA e consulente per la NSA (la National Security Agency), l’agenzia di sicurezza del governo americano specializzata nel controllo delle informazioni tramite satelliti e mezzi di comunicazione in tutto il mondo.
La messa in scena della galleria nera e anonima, che si svela essere una galleria di una grande metropoli, dà la cifra stilistica di un’opera come quella della regista americana: metafora materica delle informazioni che viaggiano nella rete di informazioni, siano esse web, telefonia mobile e fissa che concretamente rappresentano una realtà fisica, reale. I dati, i Big Data o Metadati, che riguardano la vita e le azioni quotidiane di tutti noi, viaggiano all’interno di una rete interconnessa che non è sotterranea ma ci avvolge in un piano altro (in)visibile e che fa parte della stessa realtà e ne modifica l’aspetto in continuazione. La mutazione della quotidianità è fatta dal contenuto all’interno di una forma fatta di dati, numeri, criptati o visibili a chi li sa leggere.
Solo in seguito scopriamo che il giovane che racconta una storia segreta è Edward Snowden, che con le sue rivelazioni ha dato il via al più grande scandalo internazionale denominato Datagate.
Messa in scena del controllo globale
In poche parole, Snowden rivela in otto giorni, ai giornalisti del The Guardian, Glenn Greenwald e Ewen McAskill, e a Laura Poitras che riprende l’incontro, come la NSA ha messo in piedi un sistema di controllo delle informazioni a livello mondiale in accordo con le agenzie di sicurezza europee (in particolare inglese) per monitorare, archiviare e controllare miliardi di informazioni che passano nella rete riguardanti milioni di cittadini americani e non. Centrali di ascolto che riescono a elaborare informazioni con l’obiettivo dichiarato della “sicurezza nazionale” dopo l’11/9 e grazie al “Patriot Act” che praticamente concede mano libera al governo americano di monitorare persone sospette che potrebbero essere potenzialmente pericolose.
Ma Snowden rivela che si va ben oltre il paravento della “sicurezza nazionale”, spiegando come ci sia una deliberata infrazione della privacy dei cittadini, ma non solo: anche la costante raccolta di informazioni diverse di tipo economico e politico che potrebbero essere d’interesse per il governo e per le aziende multinazionali americane.
La Poitras sceglie di mettere in scena un docu-thiller che è costruito come una (LA) spy story post 11/9, molto antinaturalistica, che va al di là della semplice descrizione della realtà, ma la (ri)crea nello stesso momento in cui la macchina da presa inquadra – utilizzando primi piani – Snowden in tempo reale quando compie le rivelazioni a Greenwald e a McAskill, o mentre in campo lungo riprende la costruzione della più grande Data Farm americana o la centrale di ascolto in Inghilterra. La Poitras poi in modo geniale riprende la camera d’albergo giocando sugli specchi e sulle vetrate, in un gioco di interno ed esterno e di doppio che rappresenta bene la figura di Snowden e del mondo che rappresenta. Del resto, anche la messa a fuoco dell’inquadratura della giovane spia è un esercizio di messa a fuoco della realtà che compie l’autrice nel suo farsi, nel raccontare una storia nel suo divenire mentre si sta compiendo.
Ma quello che rende unico – e irripetibile – Citizenfour è la messa in scena della realtà mentre è in atto la mutazione socio-politica delle rivelazioni di Snowden. Quindi non un esercizio a posteriori, ma mentre si sta creando la mutazione. Certo poi la creazione artistica è data dal montaggio effettuato a posteriori, con la parte introduttiva sullo scenario dei Big Data, della negazione del direttore della NSA al Congresso degli Stati Uniti che si stia controllando cittadini americani, che il governo stia deliberatamente violando la privacy senza una vera necessità della sicurezza nazionale, degli inserti dei servizi della CNN che per gradi rivelano lo scandalo delle intercettazioni generalizzate. Una suspense reale ma ricostruita con il montaggio delle diverse sequenze, del differente materiale, il cui cuore, il nocciolo duro, sono gli otto giorni di rivelazioni di Snowden in una camera d’albergo a Hong Kong a due giornalisti e a una regista di documentari.
In un cortocircuito rappresentativo, Citizenfour è la sintesi grammaticale dei mezzi di comunicazione interconnessi tra di loro: il web, la televisione, i giornali. E dove la parola scritta e orale sono dispiegate su un tessuto visivo di grande impatto emozionale.
Il crollo delle ideologie nel XXI secolo e la rivincita del Cinema
Un’opera etica Citizenfour, non omologata, che svela e crea il Datagate che, come importanza massmediale e politico, lo si può paragonare al Watergate ma con una sostanziale differenza: lì, la lotta politico-affarista era ancora legata a un perimetro spaziale ben delineato e in un ambiente locale come quello della lotta alla presidenza degli Stati Uniti (e causò le dimissioni dell’allora presidente Richard Nixon appena rieletto); qui, c’è una rappresentazione efficace della globalizzazione realizzata delle informazioni e dell’utilizzo economico-politico, ormai senza nessun confine e che ha come scenario il mondo. Il film documenta che le rivelazioni del “tradimento” di Snowden sono di tipo idealistico. Non si può permettere a un governo di controllare cittadini senza alcun permesso e a discapito della privacy della loro vita quotidiana.
Ma il film va oltre a questo tema e mette in scena in modo chiaro la mutazione sociale ormai affermata. Citizenfour rappresenta il superamento dei concetti e degli schemi politici ed economici del secolo scorso. I concetti di “democrazia”, “rappresentazione della volontà popolare”, di “libertà individuale”, di “sicurezza” saltano o non esistono più o sono messi a rischio. Le stesse ideologie, (neo)liberismo, socialismo, comunismo, perdono di significato e non danno più strumenti di interpretazioni di questa realtà, dove vige una globalizzazione dei mezzi di produzione di massa, basata sul consumo e l’accumulo della ricchezza, il controllo delle risorse naturali in mano a una oligarchia mondiale. In questo contesto il controllo delle informazioni diventa cruciale e la “sicurezza” diventa un concetto adattabile agli interessi economici dei pochi.
Questo controllo dei mezzi di informazioni e in particolare del web porta a un’autocensura nella libertà di espressione per non incappare nel “controllo” solo perché non si è allineati al pensiero dominante. Del resto la stessa Poitras vive e lavora a Berlino e ha evitato che le venisse sequestrato il materiale in suo possesso. I giornalisti del The Guardian sono entrati in una lista monitorata, che vuol dire che qualsiasi loro comunicazione viene controllata.
Il controllo quindi è il nodo gordiano di Citizenfour. Il controllo solo se lontanamente sei sospettato di essere fautore di libera circolazione di pensiero e di informazioni che devono essere ad uso esclusivo dei pochi. Non esistono più quindi cittadini, ma consumatori di prodotti preconfezionati senza possibilità di scegliere.
Ma Citizenfour è anche un esempio di come il cinema possa essere, ancora una volta, un antidoto, una valvola di sfogo, un’uscita di sicurezza dalla prigione in cui ci vogliono rinchiudere. E’ notizia recente che proprio a causa del Datagate il Congresso degli Stati Uniti ha approvato una legge, il “Freedom Act”, che non permette più alla NSA di accumulare i dati, ma li deve richiedere agli operatori dietro esplicito mandato delle autorità giudiziarie. Altra notizia è quella della sentenza della Corte d’Appello di New York che ha condannato la NSA di intercettazioni illegali. La realtà è in continua mutazione, ma questo vale sul territorio americano, mentre invece gli organismi di informazione americani possono operare in altri paesi liberamente e in segreto.
Citizenfour ha vinto l’Oscar come miglior documentario all’ultima manifestazione dei premi cinematografici e se può apparire come una speranza di trovare gli anticorpi all’interno della stessa società americana, dall’altro è anche un aspetto di tentativo di omologare, di inglobare all’interno del sistema chiunque e qualunque cosa, per annullarne l’effetto mutageno.
Il documentario di Laura Poitras rimane comunque l’esempio per antonomasia della potenza della rappresentazione cinematografica e della capacità di un mezzo popolare anche nel XXI secolo di mettere in scena, ancora una volta, le istanze libertarie e creative, dove la visibilità e la (re)interpretazione della realtà che stiamo vivendo forniscono uno strumento di sopravvivenza.
Antonio Pettierre