«Di un attore si dice che deve avere presenza scenica. È il minimo e non basta. Quel piantarsi sul palco non deve solo bastare a se stesso, ma deve ordinare intorno a sé lo spazio, come fa il dolore con il corpo, che pure quando occupa la periferia di un piede lo fa diventare centro dei sensi, a forza di pulsare. Eduardo De Filippo era quella presenza che dava peso e geometria a tutti gli altri corpi intorno. Non era riducibile all'attore, al regista, al commediografo, non era somma di componenti, ma trasfigurazione di una città in macchina teatrale. Lui allestiva Napoli sul ridotto di un palcoscenico, ingrandendola. Il suo teatro è stato volontà di giustizia, di rendere giustizia all'affanno di un popolo e di un luogo, che gli affiorava in faccia a scatti, a mosse d'identità. Napoli saliva insieme a lui sui teatri del mondo. Perciò abitarla non gli poteva servire, anzi era lei, domiciliata in lui, che si spostava sul carro dei teatranti. Succede a città leggendarie e saltimbanchi sovrannaturali».
(Erri De Luca, Napòlide, Edizioni Dante & Descartes)
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