Cittadinanze Itineranti posted by Nicola Lecca

Da Parolesemplici

Esistono differenti accezioni di cittadinanza, e tra queste c’è un aspetto che rientra nella sfera individuale. Si può pensare alla storia di una bambina, figlia di un alto ufficiale della Marina che ogni tre o quattro anni viene trasferito, con la famiglia, nella nuova città di destinazione. Le lussuose sistemazioni degli ammiragliati dovrebbero servire ad alleviare i disagi di un continuo sradicamento, ma la bambina ha una percezione diversa. Conosce nuove città, ne conosce le tradizioni, gode delle tante esperienze non comuni ai suoi coetanei. Quando le racconta agli amichetti suscita molta ammirazione anche nei più grandi, e quando li invita a “casa”, fa sfoggio di quei bei signori ai lati della porta che le sono quasi riverenti, vestiti sempre con quell’elegante divisa blu con il grande colletto bordato di bianco, anche se per la verità quelle divise non sono mai belle quanto quelle bianche e dorate del papà. Non appena si affeziona alle nuove amichette ed amichetti, sa già che mancheranno pochi giorni a quando il padre tornerà a casa con quella inconfondibile espressione sul viso.

Ogni volta che il padre varca la porta, con quella espressione un po’contraddittoria, per lei è già tutto chiaro, è come se qualcuno si fosse seduto un’altra volta sul telecomando e avesse schiacciato il tasto replay, a tratti soddisfatto per il prestigio della nuova destinazione ed a tratti amareggiato per il colpo che sapeva di infliggere alla sua famiglia ed in particolare alla bimba. Crescendo si accorge di fare a tempo a conoscere il fiore di un’amicizia e quasi mai le spine, perché “viene trasferita” anche lei troppo presto. Con il nuovo trasferimento si innesca in lei un consapevole meccanismo di autodifesa, s’impone di visualizzare le possibili amicizie come dei rovi di more: fatti per lo più di spine con pochi frutti misteriosi da cogliere con attenzione, e questo perché ogni volta il distacco genera troppa sofferenza per essere sopportata ancora una volta. Nelle sue relazioni, mutua dal padre quel modo un po’ distaccato e formale che hanno gli ufficiali di rapportarsi anche con i più stretti collaboratori. Sono tutte strategie per difendersi da quella sofferenza che sentiva ogni volta più straziante di quella precedente. Ormai liceale si definisce cittadina di quella nazione e non di una città o di un luogo fisico.

Per dirsi cittadina di un luogo, sostiene che sia la città a dover suscitare in lei il senso di appartenenza e nel senso del radicamento sociale e relazionale. Lei traduce la cittadinanza come elemento personale, sociale, e di relazioni di amicizie stabili, di conoscenza profonda dello specifico territorio, che nella sua esperienza ha trovato ovunque ricco di gioielli nascosti e di contraddizioni non sempre palesi ai loro abitanti stabili. Da universitaria invece affronta un mondo nuovo, sceglie di staccarsi dalla famiglia e sceglie una città dove non è mai stata, dove vorrebbe vivere per tutta la vita ed iniziare ad avere una socialità stabile, amici duraturi, una vita diversa e magari un ragazzo che non faccia il militare. Dell’amicizia, fino a quel momento, aveva sempre visto il fiore, ma con la stabilità dovrà fare i conti anche con le spine e lei non vedeva l’ora.

La cittadinanza è una questione interiore anche per uno studente fuori sede che ha sempre abitato e studiato a non più di mezz’ora dalla stessa casa di provincia. Non riesce a sentirsi più a casa propria da nessuna parte. Quando torna in famiglia le prime volte dopo esser partito si trova in imbarazza perché festeggiato come il ritorno del “figliol prodigo”, mentre dopo pochi giorni di convivenza, le frasi più ricorrenti da una parte e dall’altra, sono: “ma quando torni a Milano?” oppure “non vedo l’ora di tornarmene a Milano!”. Si sente additato come estraneo a casa propria perché la sua camera è diventata un deposito e il suo ritorno turba equilibri, inediti per lui ma normali per gli altri, ricreatisi con un familiare assente. Si sente dire dai vecchi amici, più stanziali, che ha cambiato accento e non solo quello. Con il passare degli anni identifica pregi e difetti delle due realtà, la grande città ed il paese di provincia. Vorrebbe essere cittadino di una luogo che lui stesso vorrebbe fondare, una nuova città dove si esaltino i significati intimi delle tradizioni locali, ricche di valori che ormai hanno annoiato coloro che non se ne sono mai distaccati, e le opportunità date da un grande “porto di mare” sempre contaminato da culture, esperienze e occasioni per conoscere il mondo che ci circonda da punti di vista sempre diversi, mai banali e che mettono continuamente in discussione il proprio approccio alla vita. Per lui, queste, sono il valore aggiunto dell’esistenza stessa dell’individuo e che ne ritarda l’invecchiamento, perché consapevole di dover ancora camminare e sperimentare prima di poter dire “quello è giusto!” e “quello è sbagliato!” o ancora sentirsi “arrivato”. Esistono anche secondo lui le contraddizioni che arricchiscono le potenzialità dei due luoghi, e sono quelle che rendono quel luogo meritevole di ricevere la sua “cittadinanza”. Per quel luogo, non solo fisico, si sente pronto ed in dovere di dare “la vita”, o meglio, di metterla a servizio di quella società, con le proprie esperienze, con l’impegno sociale, politico e professionale.

Nelle due diverse esperienze il concetto di cittadinanza della persona è interpretato attraverso due elementi ricorrenti, a cui però ogni protagonista dà una lettura differente. Il primo è il luogo fisico, che in un caso è vissuto genericamente come uno scenario “sempre valido” in cui radicare la propria socialità, mentre nell’altro si vorrebbe addirittura crearne uno in cui far convivere i caratteri specifici dei diversi luoghi, che sono raramente apprezzati da chi li ha sempre a portata di mano e di cui invece si patisce una forte nostalgia quando mancanti.

Il secondo elemento sono le relazioni umane, che in un caso quasi non esistono per la mancanza di stabilità geografica e quando si paventano la protagonista scappa per difendersi dal dolore del distacco, almeno fino all’inizio di una nuova vita indipendente, mentre nell’altro si assiste alla continua evoluzione delle relazioni che si trasformano in maniera differente rispetto alle reciproche esperienze, allentandosi in alcuni casi fino a dissolversi in altri.


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