City of God

Creato il 21 marzo 2012 da Ilcasos @ilcasos

City of God, di Fernando Meirelles, Brasile, 2002, 130 minuti

The Eternal Return of Blood

Locandina della versione brasiliana di City of God

«As far back as I can remember, I always wanted to be gangster. To me, being a gangster was better than being of the President of the United States.» - Goodfellas (1990) di Martin Scorsese.

«There is no such thing as pointless violence. City of God, is that of pointless violence? It’s reality, it’s real life, it has to do with the human condition. Being involved in Christianity and Catholicism when I was very young, you have that innocence, the teachings of Christ. Deep down you think that people are really good- but the reality outweighs you.» – Martin Scorsese, No such thing as pointless violence.

City of God è un film brasiliano di straordinaria intensità, che narra le vite di alcuni ragazzini delle favelas, seguendone le vicende attraverso due decenni. L’obiettivo principale del film, al di là dell’intento documentaristico, è di mostrare come questi bambini in quel particolare ambiente siano esposti al rischio di perdere una delle innate qualità dell’essere umano: la libertà di scelta.
Meirelles, il regista, racconta la storia di Buscapè e Dadinho usando uno stile simile a quello di Martin Scorsese, rifacendosi direttamente alle tecniche cinematografiche usate in film come Quei bravi ragazzi (1990): montaggio veloce, voce fuori campo e mise-en-scene di tipo documentaristico. Malgrado queste analogie, tra i due film si ritrova un’enorme differenza: Henry, il protagonista del film del 1990, vuole essere un gangster perché, per lui e la comunità italo-americana che lo circonda, far parte della malavita organizzata sembra la maniera più rispettabile e veloce per migliorare il proprio stato sociale; per i meninos de rua brasiliani, invece, la vita del teppista di strada è qualcosa di pressoché inevitabile. La vita dei quartieri poveri si muove secondo ritmi propri, ma il percorso che traccia non è lineare, ma circolare: la fine di un ciclo non è altro che l’inizio di un altro identico; la morte di un boss di strada porta inevitabilmente all’incoronazione di un nuovo capo.
Quest’idea è chiaramente espressa nella struttura stessa del film: una ringkomposition che finisce dove inizia ed inizia dove finisce. La fine è solo la premessa di un nuovo capitolo dove i Runts prendono potere, crudelmente e senza pietà.
Sono gli avvenimenti stessi a costruire il film, per come si connettono l’un l’altro, rivelando la tesi principale dell’autore: negli slums nessuno può scegliere il proprio cammino, è la vita a decidere il destino di ognuno.
Tutti i punti di svolta nella trama emergono casualmente, determinando il futuro dei personaggi, poco importa se destinati a morire o a trovare una possibilità di uscita dalla favela (come Buscape, che nel bel mezzo di un conflitto tra gang scatta delle foto che ne cambieranno il destino).

Una scena di City of God

Il protagonista può fuggire dalla sua condizione miserabile e sopravvivere alla guerra fra polizia e gang grazie alla sua abilità nel rimanere fuori dagli eventi, come testimone passivo e non come attore (nel senso latino della parola), avendo così garantita una via di fuga dall’inferno della City of God.
Non importa quanto insistentemente si provi a seguire dei principi morali, come fa Knockout Ned: nella Città degli uomini, non sono le tue azioni a determinare chi sei, è il fato a trascinarti dentro l’abisso o fuori di esso.

«La nostra destinazione dispone di noi, anche se non la conosciamo ancora; è il futuro che da la regola al nostro oggi» – Friedrich Nietzsche, Umano, troppo umano, Vol. I, Prefazione 7

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