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Pippo Civati è in viaggio, un viaggio dal nord al sud, dal basso verso l’alto, come dice lui, sulle vie dell’Unità d’Italia nel tentativo di reinventare la politica dei giorni a venire.
Forse nemmeno ne avrei parlato, poi la lettura di questo articolo di cui vi riporto solo un brano mi ha convinto a comunicarvi che, se volete, il 22 agosto potrete incontrarlo a Calatafimi Segesta ed il 23 a Mazara e Marsala. Perchè saranno passati 150 anni ma rimane il fatto che … “Qui si fa l’Italia o si muore !”
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“È soprattutto un problema di simboli. E di immaginario. Lo scrive Massimiliano Panarari in un libro che andrebbe distribuito a tutti i democratici sparsi per il Paese. «Mi pare ci siano due temi fondamentali, e non più aggirabili», mi dice Massimiliano. «Sono temi della sinistra, fanno parte del suo dna». Massimiliano è chiaro: «Prima di tutto, la partecipazione, il bisogno di riportare a intervenire e a dire la propria i nostri concittadini e le nostre concittadine e, in particolare, le giovani generazioni che la gerontocrazia e i tratti da Antico regime di questo nostro Paese tengono fuori dai processi e, soprattutto, dalle sedi decisionali». E già basterebbe. Ma poi Massimiliano rincara la dose: «La cultura nella nostra epoca, postmoderna e liquida, si intreccia strettissimamente con l’immaginario, con la dimensione simbolica, della conoscenza e delle mentalità. Uno dei (tanti) problemi che ci troviamo a dovere affrontare consiste proprio nel fatto che l’immaginario di moltissimi italiani, purtroppo, è stato occupato in modo “militare” da un’egemonia sottoculturale che li induce ad abbracciare in modo quasi inconsapevole la visione di una brutta destra egoista, socialmente darwiniana e insofferente alle regole della convivenza civile».
È il campo di gioco che è già concepito a immagine e somiglianza della destra. E noi fatichiamo: «Fare politica nei nostri tempi significa proprio generare culture e immaginari nuovi, e in linea con le nostre idealità».
Prendete i giovani, ad esempio. Nel Risorgimento erano tutti ventenni. I trentenni erano già leader di una certa esperienza. E noi siamo qui a parlare non dei giovani elettori, ma dei giovani dirigenti del Pd. Come se il problema fosse questo. E i giovani-non-dirigenti non si sa come coinvolgerli, lo ripetiamo in ogni riunione, a ogni convegno. E allora andiamo a Torino. Pensando ai moti del 1821, al «mobilitiamoci» di casa nostra e, magari, al Move On che ha aperto la strada ai democratici americani.
Per convincere i giovani, bisognerebbe unire il giorno e la notte. I sogni e la realtà. Nell’epoca della classe creativa tutto ciò ha un significato anche economico.“
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*** – il grassetto è mio