Classe diligente

Creato il 18 ottobre 2011 da Zamax

Com’è risaputo, ma poche volte ripetuto, la classe dirigente è uno dei miti coltivati con più accanimento nell’orticello culturale italiano. Nessuno sa veramente in cosa consista, ma intanto viene usata a destra e a manca come luogo retorico per rinfacciare alla classe politica le sue mancanze. Da questo punto di vista possiamo dire che essa esiste veramente e che funziona, disgraziatamente per noi, a meraviglia. Della classe dirigente si sa solo che dovrebbe essere formata da una partita specialissima di uomini capaci ed esperti, profondi conoscitori degli usi di mondo, ma usi a volare a incommensurabile altezza sopra l’effimero, sprezzanti le passioni volubili dell’opinione pubblica, forti di fronte al pericolo e sereni quando si tratta di prendere decisioni dure ma necessarie: capitani prudenti quanto coraggiosi, abili nel tener la rotta della nave anche in acque perigliose e nell’animare quando serve un equipaggio sfiduciato. Non diciamo di più, perché oltre le Colonne d’Ercole di questo nostro mare di elogi ci sono solo i Grandi Timonieri e i Piccoli Padri.

Ma benché non si conosca ufficialmente uno solo dei nomi di questi campioni, i rumori si rincorrono in continuazione da lustri e lustri, e vanno, senza trovare nessun ostacolo, nella direzione di capitani d’industria, di grandi banchieri, e di qualche cervellone dell’altissima burocrazia. Cosicché costoro formano già una élite virtuale molto reclamizzata dai giornali che contano. La cosa straordinaria, nel senso tristissimo di super-ordinaria, è che il Club degli Statisti nostrano quando tira aria di tempesta, invece di prendere per un orecchio i testoni, gli attaccabrighe e i facinorosi che seminano zizzania minacciando di affondare il bastimento, cerca di arruffianarseli con qualche simpatetica dichiarazione. Prendete Draghi, governatore della Banca d’Italia e prossimo presidente della Banca Centrale Europea: il nostro grande Mario, quel personaggio serio, perfino poco italiano, uomo parco di parole, ma quelle poche sempre esatte e ben appuntite (così tramanda un corpus agiografico già abbastanza cospicuo). Il nuovo ruolo europeo gl’impone necessariamente di uscire dal guscio protettivo di tecnico di alto profilo per assumere una postura nettamente più politica; insomma, lo costringe a fare i conti col volgo. Ebbene, questa roccia se l’è subito fatta addosso. Anche lui ha voluto lisciare il pelo ad un branco di cretini, i soliti di sempre, cui la moda impone oggi di chiamarsi “indignati”. Essendo un branco grosso grosso, che gode di formidabili protezioni, e specialmente nel caso italiano, non poco esaltato, ci si guarda attorno in cerca di conforto e pacche sulle spalle prima di azzardarsi a definirlo tale, anche se la definizione in sé è alquanto generosa, visto che i cretini sono i migliori della peggiore gioventù. La gonzaggine giovanile è una condizione esistenziale, che tutti abbiamo conosciuto, e va guardata con indulgenza. Al di fuori dei cretini però ci sono i giovanotti in carriera, che sanno bene come il cursus honorum dei pezzi grossi della nomenklatura italiana cominci spesso dalle parti dell’estremismo più o meno teppistico, dove esercitano da capetti. Non si lusinghino di essere in questo più svegli e, in un certo senso, più meritevoli: hanno solo meno scrupoli.

Draghi non è stato il solo, ovviamente, a piegare la schiena. Sempre sensibile agli umori dell’opinione pubblica più militante e piazzaiola, con molta più indecenza di quella con la quale il Caimano guarda sospiroso ai sondaggi, il Club degli Statisti ha cantato in coro: da Montezemolo a Bombassei a Passera, nessuno ha voluto farsi scappare l’occasione di omaggiare le fiumane degli indignati di qualche parola melliflua. Salvo poi rammaricarsi per come la giornata di protesta è andata a finire nel nostro paese. Commedianti prima, commedianti dopo: l’esito infausto era già scritto, visto che la parata degli indignati da noi aveva un carattere del tutto particolare, e si inseriva con la sua pulsione palingenetica nel quadro semi-criminale della storia dell’Italia repubblicana che una minoranza militante ha imposto nei luoghi di cultura e nei media, aggiornandolo solo quando la riabilitata immagine dei nemici di una volta, passati da qualche decennio a miglior vita, doveva servire di paragone per screditare il nemico del momento. Da questa montagna di bubbole Berlusconi non si è fatto mai intimorire. L’osso è inesplicabilmente duro, perfino beffardo. Molto, ma molto superiore a questi personaggi che ai dettami di quel verbo ridicolo si sono piegati. Diligentemente.

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