Da queste domande ha inizio la riflessione che Salvatore Settis, storico dell'arte, ha affidato prima ad un agile libello, Futuro del 'classico', edito da Einaudi nel 2004, poi al programma web di RaiArte L'arte classica tra passato e futuro, in sei puntate girate presso la Centrale Montemartini di Roma, eccezionale esempio di connubio fra mondo classico e società industrializzata[1].
Le tesi di Settis prendono le mosse dal settore artistico, ma non possono non coinvolgere l'intero sistema culturale del mondo antico, poiché le stesse considerazioni riguardanti il recupero delle forme architettoniche o scultoree possono essere proposte in riferimento alla letteratura e al pensiero di Greci e Romani.
Come primo passo, bisogna smettere di considerare la classicità come qualcosa di morto e inutile: è paradossale che, in un tempo in cui la cultura e l'istruzione classiche sono fortemente sottovalutate, proliferino citazioni tratte dai capisaldi del pensiero antico. Questa moda ha per Salvatore Settis due effetti: uno - tutto sommato innocuo - è il mascheramento, dietro una selva di citazioni, della scelta di ignorare le civiltà classiche, l'altro, molto più grave, la trasformazione delle espressioni di tali culture in qualcosa di irraggiungibile, il porle su un piedistallo, alimentando quindi un atteggiamento di distacco irreversibile.
Eppure anche culture non direttamente connesse al mondo greco abbondano di riferimenti alla classicità: non a caso Hayao Miyazaki ha dato alla protagonista di un suo manga il nome omerico di Nausicaa. Ma non si tratta solo di un processo di citazioni letterarie: nel cuore della ipertecnologica Tokyo è sorto un locale, il Caffè Bongo, che, pur avendo una struttura modernissima, è caratterizzato dal recupero delle sculture antiche negli interni[2].
L'architettura e il design sono molto ricettivi nei confronti della classicità, ma il problema del futuro del classico non è tanto formale, quanto sostanziale: la difficoltà dei cultori del mondo antico non risiede nella capacità di far apprezzare la storia e l'arte greco-romana, ma, piuttosto, nella possibilità di rendere attuale e indispensabile il sistema culturale che sta alla base di esse, trovare, insomma, una funzione contemporanea a materiale che, apparentemente, ha esaurito le proprie risorse pratiche.
Delineando la storia del 'classico' attraverso oblio, riscoperte, travisamenti e strumentalizzazioni (non sempre negative) di questo concetto e del mondo cui si riferisce, Salvatore Settis descrive con estrema chiarezza - nel libro come nel programma ad esso ispirato - il sistema estetico, ideologico e morale che ha in passato determinato la fortuna dell'epoca antica, ma, allo stesso tempo, individua chiaramente le soluzioni intrinseche alle espressioni classiche per un progresso politico, sociale e culturale futuro.
Il 'classico', come riscoperta, è stato spesso associato ad un sistema etico: la perfezione formale dei Greci, che per Winkelmann si sintetizzava nella formula «nobile semplicità e quieta grandezza» e trovava il suo simbolo più compiuto nell'Apollo del Belvedere[5], era considerata nei secoli XVIII e XIX lo specchio di un sistema morale superiore, da prendere come esempio di vita e sulla base del quale educare i rampolli dell'alta borghesia. Divenuti il vessillo della Rivoluzione Francese in quanto espressioni dell'uomo libero in una società democratica (quella ateniese), l'arte e il pensiero classici si sono presto trasformati negli strumenti più efficaci dell'eurocentrismo e, di conseguenza, dell'imperialismo.
Il 'classico', dunque, ha avuto prevalentemente un valore identitario, di parametro di riferimento culturale e morale per l'intero mondo occidentale, che, abbagliato dai luminosi e armonici marmi romani, ha creduto di poter vedere in quella perfezione un segno della propria superiorità estetica e, quindi, morale. Ma il mondo e il pensiero, oggi, sono profondamente cambiati, e una simile declinazione del 'classico' è non solo anacronistica, ma lesiva della sostanza stessa del concetto:
«Quale può essere il posto degli Antichi in un mondo caratterizzato sempre più dalla mescolanza dei popoli e delle culture, dalla condanna dell'imperialismo e dalla fine delle ideologie, dalla fiera rivendicazione delle identità etniche e nazionali e delle tradizioni locali contro ogni egemonia culturale? Che senso ha cercare radici 'comuni', quando tutti sembrano piuttosto impegnati a distinguere le proprie da quelle del vicino?»[7]La risposta alle esigenze della società contemporanea si possono trovare nelle prospettive storico-artistiche apertesi con gli scavi di Olimpia e Delfi o con la scoperta della Colmata persiana, che hanno portato alla luce, nell'Ottocento, testimonianze di arte arcaica che hanno costretto gli storici a scardinare molte delle idee imperanti nel settore antichista: l'arte greca non era solo compostezza, candore e levigatezza, ma anche ieraticità, colore, frastuono, violenza. I marmi lucidi tanto cari a Winkelmann erano soppiantati da pietra porosa e nascosta da colori sgargianti, i corpi torniti e resi con tanta naturalezza avevano ora forme primitive, accostabili a manifestazioni dell'arte tribale che proveniva, negli stessi anni, dalle popolazioni africane o australiane.
Un disagio non dissimile si diffuse fra gli storici dell'arte quando, nel Novecento, Ranuccio Bianchi Bandinelli dichiarò che l'arte medievale, considerata per retaggio rinascimentale degenerazione delle forme perfette iniziata con l'imbarbarimento tardoantico, era in realtà il naturale sviluppo dell'arte popolare italica a lungo convissuta con le forme terse ed eleganti importate dalla Grecia.
La seconda metà dell'Ottocento e il Novecento, insomma, hanno rivelato aspetti della classicità prima sconosciuti e destinati ad intaccare un intero sistema ideologico. Negli stessi anni, d'altronde, Nietzsche faceva nuova luce sul valore fortemente tribale del teatro greco, dominato da forme chiassose, da costumi e maschere vistosi, da paure primordiali; il drammaturgo e regista Antoni Artaud, nel suo saggio Il teatro e il suo doppio (1938) avrebbe poi dimostrato come la capacità delle musiche e delle forti passioni suscitate dalla rappresentazione teatrale tribale (il suo ideale di dramma) avessero, come per la tragedia greca, lo scopo di riportare l'uomo alla parte più naturale, istintiva e repressa di sé, a contatto con le pulsioni e con l'espressione più autentica e genuina[9].
Appare allora chiaro che nel mondo classico erano presenti non solo aspetti di identità rispetto alla cultura europea moderna, ma anche e soprattutto manifestazioni ritenute a lungo prerogative di civiltà altre, generalmente con un grado di sviluppo tecnologico minore. I Greci, base dell'Europa moderna, si rivelano, dunque, un popolo fortemente influenzato da aspetti giudicati nella percezione comune come estranei, addirittura opposti all'ideologia occidentale.
Per questo occorre rifondare il concetto di 'classico' su base inclusiva: sottrarlo alla percezione di un retaggio esclusivo di identità e reinterpretarlo come «chiave d'accesso a un ancor più vasto confronto con le culture 'altre' in senso autenticamente 'globale'»[10]. Il mondo classico, con quanto manifesta di diverso rispetto alla nostra società moderna, deve stimolare l'incontro col diverso, diventando così un valido sistema di riferimento in un mondo globalizzato.
«Quanto più sapremo guardare al 'classico' non come una morta eredità che ci appartiene senza nostro merito, ma come qualcosa di profondamente sorprendente ed estraneo, da riconquistare ogni giorno, come un potente stimolo ad intendere il 'diverso', tanto più da dirci esso avrà nel futuro»[11].
C.M.
NOTE:
[1] L'edificio, un tempo centrale termoelettrica, ospita oggi un museo di antichità classiche; le opere, trasportate alla centrale nel 1997 in via provvisoria per la ristrutturazione di alcuni settori dei Musei Capitolini, hanno costituito in parte il nucleo dell'esposizione divenuta permanente nel 2005.
[2] Riporto alcuni degli esempi citati da Settis. Il libro e i filmati abbondano di riferimenti non solo a citazioni verbali, ma anche ad architetture di stampo neoclassico.
[3] L'interno del Caffè Bongo di Tokyo.
[4] Una foto del Getty Museum di Malibù, progettato con una forte ripresa di elementi architettonici classici.
[5] Nel Settecento ancora si ignorava la fase arcaica dell'arte greca; si ammirava invece la produzione di età classica, poiché questa era replicata dalle copie di marmo romane di età ellenistica e imperiale, che costituivano l'unica testimonianza di arte antica fruibile direttamente.
[6] Apollo del Belvedere e Laocoonte, sculture conservate presso i Musei Vaticani.
[7] Cit. Futuro del 'classico', p. 15.
[8] Kore arcaica e statua di arciere dal tempio di Athena Aphaia ad Egina e rispettive ricostruzioni policrome.
[9] Nel teatro greco tragico, questa pratica aveva, come spiega Aristotele, una funzione catartica.
[10] Cit. Futuro del 'classico', p. 119.
[11] Cit. ibidem, p. 124.
[12] Le puntate del programma di RaiArte sono: 1) Tracce del classico intorno a noi, 2) Riscoperta dell'arte greca, 3) Arte classica, libertà, rivoluzioni: la lezione di Winkelmann, 4) Dalle rovine al musero: l'arte classica risorge nel Rinascimento, 5) Perché i Greci hanno inventato l'idea di 'classico' e 6) L'arte classica, l'Europa e le altre culture.