Un connubio di interesse personale per il tema, ricordi stupendi relativi alla canzone che fa da colonna sonora allo spettacolo e la stima per il suo protagonista sono quanto basta per farmi essere presente, fra le prime file del Rossetti di Trieste, al Father and Son di Michele Serra.
Nata sulla scia del libro Gli sdraiati, scritto dallo stesso Serra e pubblicato da Feltrinelli, la pièce teatrale è prelibata occasione per gustare da vicino un genuino Claudio Bisio. Da sempre sono restìa a mimetizzarmi con la poltrona di un teatro in occasione di una prosa con improbabili protagonisti magari indubbiamente professionali ma con una personalità artistica scontata e senza troppe sorprese. A maggior ragione nel caso si tratti di un monologo. Qui, invece, non avendo alcun dubbio sullo sfavillante Bisio e la sua bravura, semmai con sincera curiosità per la declinazione che avrebbe saputo dare all'interpretazione, mi faccio rapire per un'ora e mezza tutta d'un fiato. Parole che suonano di concerto al violino di Laura Masotto ed alla chitarra di Marco Bianchi.
Ho sempre paragonato la capacità di immedesimarmi in un racconto, di farmi catturare e travolgere, a quell'ora di tragitto in macchina che ti separa dalla meta della gita domenicale o dal lavoro. Quell'ora durante la quale percorri la strada e spesso arrivi a destinazione senza quasi accorgertene, immerso in un tantàm di pensieri. Lo spettacolo ti accompagna così per mano senza ricordarti che sei seduto in un teatro, ti fa viaggiare nella storia, ti appiccica alle vicende del protagonista e ti obbliga a pensare con lui e come lui. Father and Son mi piace perché è sofisticato quando crea un parallelismo fra due situazioni: l'invito ad una faticosa passeggiata in montagna e tutti gli atteggiamenti, le astuzie, gli escamotage che un genitore sperimenta per educare il proprio figlio adolescente.
A confronto quello che Serra definisce il relativismo etico di un padre che cerca di affermare l'ordine empirico e una generazione che nasce e cresce in linea orizzontale, trascinandosi nella vita. Di situazione in situazione, si notano i vari tentativi di un genitore nel provare a convincere, instillare un comportamento positivo e propositivo sul proprio figlio. Da quello impositivo a quello seduttivo, da quello ironico a quello falsamente indifferente. Ad ogni atteggiamento l'autore fa corrispondere un omologo invito alla gita in montagna, puntualmente rifiutato. Rifiuto che viene in realtà letto come la volontà di non aderire allo stile di vita che il personaggio di Bisio cerca di imporre.
Lode all'autore perché riesce con questo gioco di parallelismi a sottolineare tutti i vari tentativi che il genitore, stremato, affronta pur di cercare di educare il suo ragazzo, non mancando di portare in superficie le emozioni ed il percorso di maturazione che lo stesso padre compie, per assurdo, in maniera più inconsapevole rispetto al proprio figlio. Bisio mi piace perché riesce a trascinarti nelle dinamiche di questo rapporto, scegliendo, momento dopo momento, quella fra le sue qualità che meglio si addice alla situazione vissuta in scena, mai prevaricando sul personaggio. Se fra gli attori italiani spicca spesso quell'eccessiva sottolineatura di gesti e prosodìa a rimarcare l'interpretazione e mai la naturalezza d'espressione, lui di certo è caso a parte di genuina professionalità. Il finale poetico lo raggiunge in punta di piedi, a sorpresa e riesce così anche a commuovermi. Lo ringrazio pertanto con la mia prima lacrima per un monologo o forse per un finale che è il desiderio di una vita da genitore. E per il quale sono meritati i cinque minuti di applausi.