Con il termine cleanskin si intendono quei terroristi apparentemente slegati da cellule già note all’intelligence, quei martiri che sembrano agire in modo indipendente ed imprevedibile, fenomeni isolati, molto difficili da arginare e classificare.
Cleanskin parte proprio da qui per regalarci una riflessione non banale su di un argomento estremamente complesso e stratificato, cercando nello stesso tempo di indagarne le ragioni e non rinunciando mai ad intrattenere lo spettatore, coinvolto anima e corpo in un gioco di scatole cinesi, mai fine a se stesso, ma al contrario furbo e perennemente in equilibrio tra tensione narrativa e piacevoli momenti di exploitation.
Per una volta quindi riusciamo a sbirciare dietro il sipario, arrivando quasi ad afferrare i meccanismi che sottendono il reclutamento e la logica che motiva queste azioni apparentemente così lontane da noi. Così come prima di lui avevano fatto film come Unthinkable, Four Lions e Red state, si indaga sul terrorismo con la voglia di comprenderne i meccanismi e al contempo mettendo in scena un film che nasce per intrattenere e non per spiegare in maniera verbosa ed artificiosa un fenomeno che forse non può essere davvero spiegato usando i mezzi tradizionali.
Pellicola preziosa e sapientemente interpretata da un Sean Bean credibile e macilento, contrapposto ad un’algida e quasi intoccabile Charlotte Rampling, Cleanskin conquista fin dai primi minuti, rendendoci inconsapevoli complici ed impotenti spettatori di una spaccatura profonda e radicata, che a volte affonda le proprie radici in luoghi insospettabili, tra le pieghe di motivazioni a noi fin troppo vicine.
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VOTO
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