Cleo: è piccola, nera, testarda…e ci ha salvati tutti – Helen Brown

Da Romina @CodicediHodgkin

Temevo, prima che arrivasse Gnappa Alfa, che la maternità, specialmente all’inizio, mi avrebbe allontanata dalla lettura. Fortunatamente non è così, almeno per ora. Sto continuando a leggere – non con gli stessi ritmi di prima, è chiaro, ma quasi – e di questo sono felicissima. E’ la mia piccola evasione. Il tempo, si trova abbastanza facilmente: altrimenti a cosa servirebbero il Kindle e l’allattamento al seno? Lei mangia e io leggo. Fortunatamente, Gnappa Alfa è un’amante dei pasti abbondanti e lunghi. Per girare le pagine mi basta un dito (o il naso, al peggio) e se sono sdraiata con lei attaccata, il lettore sta dritto da solo con la copertina. Poi, diciamocelo: la bestiolina dorme parecchio e io sono fermamente convinta che il famoso detto “mamma sana in corpore sano” (era così, vero?) sia sacrosanto. Quando Sua Nanezza riposa, io spiccio rapidamente casa (che tanto è ancora un casino, quindi è pure inutile impegnarsi troppo) e poi mi butto a quattro di spade sul letto a leggere. Poi, oh, ‘sta fijarella c’ha pure un padre: una volta a settimana, invece che la solita rapida doccia quando lui torna dall’ufficio, i due Alfa si fanno gli affari loro e io riempio la vasca d’acqua bollente e ne esco solo quando mi spuntano le branchie. Ovviamente, porto da leggere anche nella vasca da bagno. Anzi, calcolando che, la scorsa settimana, per 4 giorni Claudette ha avuto problemi di aria nella pancia (del tipo che con tutta l’aria che ha fatto non mi spiego né come abbia fatto a non decollare, né come mai non mi sono venuti i capelli verdi per il miasma mortifero) e ha pianto tutta la sera, tutte le sere e che quindi serviva necessariamente la mia presenza visto che Alfa si è rivelato un ansiogeno e va nel pallone, direi che ultimamente ho letto molto più di quanto mi sono lavata. Ecco, l’ho detto. Però non puzzo più, giuro. Ora la Gnappa fa regolarmente la cacca e io ho ripreso a fare la doccia. Come diceva Trilussa “in fondo la felicità è una piccola cosa”.

Comunque, a parte questo, volevo segnalare un libro. Si tratta di una lettura che per una puerpera gattofila si è rivelato emotivamente molto forte e quindi vene parlo. Si intitola “Cleo: è piccola, nera, testarda…e ci ha salvati tutti”. E’la storia della stessa autrice, Helen Brown. Helen ha una rubrica fissa su un quotidiano locale ma fondamentalmente è una mamma a tempo pieno che vive in Nuova Zelanda, in una casa abbastanza sperduta tra i tornanti. Ha un figlio di 9 anni, Sam, e uno di 6, Rob. Il matrimonio è tutt’altro che felice ma lei e il marito riescono comunque a convivere con relativa serenità. Non è la famiglia del Mulino Bianco, ma stanno bene. Purtroppo, un giorno, accade l’imponderabile: i due bambini escono per portare un piccione ferito dal veterinario e Sam viene investito, morendo sul colpo. La vita dell’intera famiglia si ferma. Helen smette di vivere e si limita ad esistere, il piccolo Rob, che ha assistito all’incidente, si rifiuta di dormire nella sua stanza e si chiude in sé, mentre il padre fa in modo di allontanarsi sempre più spesso e sempre più al lungo per lavoro perché lui e la moglie non riescono a condividere il loro dolore l’uno con l’altra.

Due mesi dopo la morte di Sam, alla porta di Helen suona una sua amica, che porta un dono molto speciale. Il regalo di compleanno di Sam. Quando il bambino era ancora vivo, infatti, la mamma aveva ceduto alle insistente di quel bambino che così tanto amava gli animali e aveva deciso di regalargli un gattino per il compleanno. Sam aveva già scelto il suo micio tra quelli della cucciolata della gatta dell’amica della madre e aveva anche scelto il nome adatto a lei: Cleo. La gatta, però, sarebbe stata presa solo due mesi dopo, proprio in occasione del compleanno, in quanto troppo piccina al momento del loro primo incontro. Inizialmente Helen chiede all’amica di riportare via quel gatto: non ha il tempo, né la voglia di accudire un’altra creatura. E poi lei non è tipo da gatti. Il piccolo Rob, però, insiste per tenerla e Helen si trova costretta ad accettare di tenere Cleo.

La gattina si rivela subito molto impegnativa: ha la forza distruttrice di un uragano ed ha un modo tutto speciale di accattivarsi le simpatie non solo del piccolo Rob ma anche di Helen. In breve, questa madre distrutta dal dolore si rende conto che, col passare delle settimane e dei mesi, ogni volta che deve riparare uno dei disastri di Cleo smette per qualche minuto di macerarsi nella sofferenza e che, addirittura, grazie alla gattina e alle sue continue malefatte ogni tanto le capita persino di sorridere. Questo senza contare che Rob, da quando è arrivata la gatta, ha smesso di essere perseguitato dagli incubi.

In breve tempo, Cleo diventa parte integrante della famiglia. Peccato, però, che la famiglia dopo pochi anni e l’arrivo di un’altra bambina si sfasci. Helen e il marito vivono ormai in due mondi diversi. Ciascuno è chiuso nel proprio dolore, nel ricordo di Sam e non riescono più a trovarsi. Passano gli anni, Helen impara a gestire il suo dolore e a conviverci, riprende a lavorare come giornalista, si risposa e nella sua nuova vita c’è sempre Cleo…

Nel complesso, la prima parte di questo romanzo, nella sua tristezza, è molto intensa e molto vivida. Rende bene l’idea del “mai più” riferito ad un figlio piccolo. La rende talmente bene che una sera ho smesso di leggere, mi sono avvicinata alla culla e mi sono messa a fissare Claudia per mezzora. Poi, però, la tensione man mano diminuisce e ci si appassiona alle malefatte di Cleo, al nuovo inizio di Helen, a Rob che piano piano diventa un uomo…sì, perché Cleo ha avuto il dono di una vita lunghissima. Come dice Helen, se ne è andata solo quando è stata sicura di lasciare tutti i membri della famiglia in un momento di serenità….

Non penso si tratti in assoluto del più bel libro sui gatti che ho letto (questo onore spetta a “Il gatto che venne dal freddo”, poco ma sicuro) ma la vicenda umana che la protagonista racconta è forte e carica di speranza. La speranza di andare avanti nonostante un dolore lacerante che non passerà mai, ma con cui si può imparare a convivere.


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