Con il peggioramento delle condizioni del padre, la famiglia lascia Ostia per trasferirsi in una baita sulla Maiella, messa loro a disposizione dallo zio, l’unico su cui Jenny potrebbe contare, se non fosse che lui tende a sottrarsi vilmente agli impegni, influenzato anche dalla sua convivente rumena, che non vede di buon occhio l’arrivo degli indesiderati parentiQuesto film è un desolato ritratto di esistenze precarie, periferiche, marginali. Con uno sguardo compassionevole ma fermo, che potrebbe sembrare impassibilità e apatia e invece è solo pudore. È una pellicola imperfetta, irrisolta, con evidenti limiti, soprattutto nella costruzione drammaturgica e nella messa a punto dei caratteri, ma con una buona regia. Lo stile è fortemente visuale e attento alla composizione figurativa. Sanfelice centra bene le derive esistenziali, che sono poi anche sociali e antropologiche, di una certa Italia contemporanea, colpita duramente dalla crisi economica e dalla dissoluzione di un tessuto di relazioni parentali che, tradizionalmente, dalle nostre parti, ha sempre fatto da collante e da argine alle peggiori tempeste. Ma "Cloro" non cade nella tentazione di far parte di un urlato quanto vetusto cinema di denuncia e di impegno: semmai osserva, registra, pedina i suoi personaggi, costruendo intorno a loro anche una partitura visiva di somma efficacia.
Il regista, alla sua prima esperienza, ha il coraggio di un finale per niente buonista, in cui l’indispensabile egoismo di Jenny, senza il quale lei soccomberebbe, sembra prevalere. Anche questo fa di Cloro un film non comune nel panorama cinematografico italiano. Riccardo Supino