Cloud Atlas (2012) dei fratelli Andy e Lana Wachowski e di Tom Tykwer è un capolavoro di spaesamento cinematografico. Tratto dal bestseller omonimo di David Mitchell, è immaginifico e sornione, audace e bilanciatissimo: un vero miracolo che lo si sia potuto realizzare senza compromettere il sistema nervoso dei suoi spettatori. Il film gira attorno a sei storie, interpretate sostanzialmente a turno dagli stessi attori alle prese con parti diverse, spesso en travesti. I nomi di Tom Hanks, Halle Berry, Doona Bae, Jim Broadbent, Jim Sturgess, Susan Sarandon, Ben Whishaw, Hugh Grant, Hugo Weaving fanno giustamente pensare a costi stellari e in effetti IMDB (al quale rimando per i dettagli sulle parti e sulla produzione) riferisce di un budget stimato in termini di 100.000.000 di euro.
Un tempo (ma molto tempo fa) avrei liquidato rapidamente un titolo del genere, relegandolo tra gli artifici della vista e dell'immaginazione un po' effimera, roba commerciale proposta da persone troppo ricche. Oggi mi limito ad alcune osservazioni di merito che rendono giustizia a quasi tre ore di film. Intanto, è pregevole che queste sei storie che si rubano l'un l'altra la scena a ritmi alternanti (ora velocissimi, ora molto più rilassati) sono ben identificabili e si fanno seguire con estremo agio, senza possibilità di confusione l'una con l'altra. E questo non solo perché siano ambientate in periodi e in luoghi diversi (secondo Ottocento, anni '30 del '900, anni '70, oggi, pieno ventiduesimo secolo, e il dopo del dopo): piuttosto, è come se questa miracolosa triade di registi fosse riuscita a sviluppare una sintassi che lo spettatore apprende subito a padroneggiare. Si aggiunga che, se certe singole soluzioni non sono proprio originali, il montaggio tra una scena e l'altra è di una raffinatezza e di una varietà da stupire ogni volta per la pregnanza e la forza di questi legami.
Sempre sul piano della costruzione del film, è ammirevole la scelta di dare a ogni singola storia un carattere suo, molto netto e omogeneo, lasciando a uno di questi plot il compito di stemperare l'atmosfera un po' metafisica e greve: la storia del vecchio Cavendish e delle sue rocambolesce avventure editoriali (e non) è puro spasso, che per di più riconduce tutte le altre storie entro un'accettabile cornice narrativa. Perché, se c'è una cosa su cui non mi pare si possano nutrire dubbi, è che Cloud Atlas non è solo un film compiuto in sé, è anche un'opera in cui le singole parti hanno una loro intrinseca e ben netta linearità, anche quando conducono lo spettatore a una riflessione sui destini lontani che si incontrano e si determinano vicendevolmente (molto più di quanto accada, per esempio, con i celeberrimi Sei gradi di separazione; anche quelli sei, sì, ma diversi). Eppure, l'incanto di Cloud Atlas sta ancora più a fondo, nella morfologia delle singole scene, non solo nella sintassi. Non so se la rinuncia al 3D sia dovuta a una questione (ragionevolissima) di costi o a una cura per lo spettatore (che avrebbe sofferto di uno spettacolo così impegnativo tanto a lungo), ma la scelta si è rivelata vincente e la fotografia è,in certi momenti, superba.