I problemi più rilevanti restano quelli strutturali, legati alla carenza di un sistema idrico a servizio di un vasto territorio a bassa densità abitativa, con condotte di adduzione estese per oltre 4 mila chilometri. L’acqua che arriva nelle abitazioni dei sardi è prelevata per oltre il 75% da fonti superficiali (invasi e fiumi) e per il 25% da fonti sotterranee (pozzi e sorgenti). Viene opportunamente trattata per essere resa compatibile con gli usi potabili e trasportata attraverso la rete degli acquedotti.
Lo rende noto una ricerca effettuata dalla Cna Sardegna sulle carenze infrastrutturali in Sardegna.
«La nostra – spiegano Bruno Marras e Francesco Porcu, presidente e segretario della Cna – risulta la penultima regione italiana in termini di percentuale di acqua effettivamente erogata sul totale immesso nella rete». I motivi di questa situazione, evidenzia l’associazione artigiana, sono molteplici: possibile esistenza di grandi quantità di acqua non conteggiate destinate ad usi pubblici, sfori di serbatoi, possibili furti e prelievi abusivi e perdite nelle condotte. «E’ quest’ultima la criticità più rilevante, non la sola, che occorre aggredire e risolvere se si vuole abbattere il costo di produzione dell’acqua potabile – sottolineano i vertici della Cna –. Il Piano regionale d’ambito ha messo in circolo molte risorse per il ripristino delle infrastrutture per la distribuzione idrica della Regione, ma si può fare fronte a questo incredibile spreco solo attraverso un recupero di efficienza. Per questo – concludono Marras e Porcu – auspichiamo un comune e condiviso indirizzo programmatorio tra i diversi soggetti su cui grava la responsabilità di migliorare il servizio che in questi anni, troppo spesso, purtroppo, si son fatti la guerra tra di loro».