Collezionisti

Da Straker

Quanti collezionano oggetti! Chi colleziona i classici francobolli, chi insulse schede telefoniche o figurine di calciatori, soldatini di piombo, orologi a cucù… Qualcuno raccoglie libri che non leggerà mai, un altro dischi che non ascolterà.
Che cosa li spinge ad accumulare cose su cose, a riempire mensole, scrigni e scatole di carabattole? E’ una sorta di horror vacui, un modo per tentare di riempire l’incolmabile vuoto della vita. E’ una coazione a ripetere: si aggiudicano un francobollo raro che mancava alla collezione ed un brivido di estasi li percorre. Già, però, dopo pochi giorni l’aura di quel prezioso cimelio è quasi del tutto svanita e ricomincia la queste per appropriarsi di qualcos’altro. E’ una ricerca interminabile.
A ben vedere, pochi sono immuni da questa mania. Qualcuno, come Casanova, colleziona amanti, un altro automobili e la differenza è sottile. L’impulso ad accumulare è anche nell’avido che simbolicamente impila monete su monete, ma pure nell’asceta. Costui allinea trionfi sulla carne e sulla concupiscenza.
Qualche cupido erede cercherà nella chincaglieria ammassata dal collezionista un oggetto di valore per rivenderlo. Si disferà, infastidito, di tutto il resto.
Che cos’è poi l’esistenza, se non una collezione di istanti, settimane, mesi, giorni, anni, spesso dolorosi?
Guardiamoci attorno: tutto è collezione. L’universo è una collezione di corpi celesti. Il collezionista annovera nel suo armamentario milioni di galassie, stelle, quasar, pulsar, buchi neri, miliardi di esseri viventi, dalle sembianze più disparate, dispersi su miliardi di pianeti. Ammucchia cadaveri nei cimiteri, neonati nelle nursery forse per pareggiare i conti e sembra non stancarsi mai: al momento seguitano a sbocciare astri e gli entomologi non hanno ancora finito di classificare gli insetti.
Che senso ha il collezionismo? Forse è un tentativo di durare oltre il tempo, oltre la morte. E’ la proiezione di parte del proprio essere nelle cose, consci che esse resteranno, quando la vita sarà svaporata.
E’ come se, attraverso tutto quel coacervo, il trapassato intendesse dire: “Io sono tuttora qui..." E non è così.

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