Il problema non è affatto nuovo, e si è meritato la definizione di "paradosso del Sole giovane debole": secondo il modello standard sull'evoluzione del Sole, la Terra di 4 miliardi di anni fa non riceveva una quantità di luce sufficiente a mantenere l'acqua allo stato liquido. In base al ciclo evolutivo della nostra stella, il nostro mondo sarebbe dovuto essere una palla di ghiaccio nello stesso periodo in cui, secondo i geologi, la superficie del nostro pianeta era solcata da fiumi e parzialmente coperta da oceani, i futuri brodi primordiali. Una delle spiegazioni fornite in passato è che il paradosso del Sole giovane debole non sia, in realtà, un vero paradosso: le prime simulazioni volte a spiegare il problema erano state eseguite partendo dall'ipotesi che la Terra di 4 miliardi di anni fa possedesse caratteristiche atmosferiche simili a quelle di oggi. In quell'epoca, le grandi quantità di diossido di carbonio e di metano potrebbero aver contribuito a creare un effetto serra estremamente potente e di portata planetaria, alzando sensibilmente la temperatura globale della Terra. Anche i vulcani contribuirono al mantenimento dell'acqua liquida grazie a miliardi di tonnellate di gas serra immessi nell'atmosfera. Questo scenario, tuttavia, non sembra essere in grado di spiegare completamente le temperature necessarie a mantenere l'acqua liquida sulla Terra in presenza di un Sole così debole. In realtà, si è scoperto che in particolari situazioni il mix di metano e diossido di carbonio potrebbe aver creato uno smog fotochimico capace di abbassare ulteriormente le temperature globali. David Minton della Purdue University sostiene di avere la risposta al paradosso. Una risposta che, secondo lo stesso Minton, susciterà inevitabilmente accese discussioni. Minton ha proposto che la Terra delle origini era più vicina al Sole rispetto ad oggi, e che pian piano si sia spostata verso la posizione attuale. L'orbita del nostro pianeta era di 9,7 milioni di km più vicina al Sole, e la sua prossimità alla stella potrebbe aver contribuito a mantenere liquida l'acqua terrestre. "I pianeti non si limitano a rimanere fermi, amano spostarsi" spiega Minton, riferendosi alle ormai abbondanti osservazioni di pianeti extrasolari che migrano da orbita ad orbita, o addirittura si sganciano dal loro sistema solare d'appartenenza. Secondo Milton, nell'arco di 1-2 miliardi di anni il nostro pianeta si sarebbe spostato verso la sua attuale orbita per effetto di "giochi gravitazionali" con una stella in espansione, una sorta di biliardo gravitazionale tra Sole e Terra. Se questo scenario sembra sfidare i modelli standard sull'evoluzione del Sistema solare, aspettate di sentire il resto: le migliaia di simulazioni effettuate (che, seppure con un certo grado di approssimazione, possono calcolare questo genere di giochi gravitazionali) prevedono anche la presenza di un terzo elemento in gioco, un pianeta aggiuntivo all'interno del Sistema solare interno, della massa compresa tra quella marziana e quella venusiana. La sorte di questo ipotetico pianeta (ripeto, ipotetico) non è molto chiara: potrebbe essere stato espulso dal Sistema solare, aver cozzato contro il Sole o, peggio ancora, contro un altro pianeta. Secondo le simulazioni effettuate da Milton, l'ipotetico terzo pianeta potrebbe aver colpito Venere circa 2-3 miliardi di anni fa, una collisione dagli effetti così devastanti da spingere la Terra nella sua attuale posizione. Per stessa ammissione di Minton, "il modello della collisione con Venere è un'idea plausibile, ma molto orientata alla fantascienza". Ma la sue simulazioni non fanno solo proiezioni rivolte al passato, ma possono sbirciare nella sfera del futuro plausibile. In una su 2500 simulazioni sull'evoluzione del Sistema solare, Mercurio, attualmente in orbita quasi stabile, sarà espulso dal sistema planetario nei prossimi 5 miliardi di anni. Questa sua espulsione comporterà una collisione con Venere e successivamente con la Terra, eventi che sposteranno Marte ben lontano dal Sole. Fonte: www.ditadifulmine.net
Il problema non è affatto nuovo, e si è meritato la definizione di "paradosso del Sole giovane debole": secondo il modello standard sull'evoluzione del Sole, la Terra di 4 miliardi di anni fa non riceveva una quantità di luce sufficiente a mantenere l'acqua allo stato liquido. In base al ciclo evolutivo della nostra stella, il nostro mondo sarebbe dovuto essere una palla di ghiaccio nello stesso periodo in cui, secondo i geologi, la superficie del nostro pianeta era solcata da fiumi e parzialmente coperta da oceani, i futuri brodi primordiali. Una delle spiegazioni fornite in passato è che il paradosso del Sole giovane debole non sia, in realtà, un vero paradosso: le prime simulazioni volte a spiegare il problema erano state eseguite partendo dall'ipotesi che la Terra di 4 miliardi di anni fa possedesse caratteristiche atmosferiche simili a quelle di oggi. In quell'epoca, le grandi quantità di diossido di carbonio e di metano potrebbero aver contribuito a creare un effetto serra estremamente potente e di portata planetaria, alzando sensibilmente la temperatura globale della Terra. Anche i vulcani contribuirono al mantenimento dell'acqua liquida grazie a miliardi di tonnellate di gas serra immessi nell'atmosfera. Questo scenario, tuttavia, non sembra essere in grado di spiegare completamente le temperature necessarie a mantenere l'acqua liquida sulla Terra in presenza di un Sole così debole. In realtà, si è scoperto che in particolari situazioni il mix di metano e diossido di carbonio potrebbe aver creato uno smog fotochimico capace di abbassare ulteriormente le temperature globali. David Minton della Purdue University sostiene di avere la risposta al paradosso. Una risposta che, secondo lo stesso Minton, susciterà inevitabilmente accese discussioni. Minton ha proposto che la Terra delle origini era più vicina al Sole rispetto ad oggi, e che pian piano si sia spostata verso la posizione attuale. L'orbita del nostro pianeta era di 9,7 milioni di km più vicina al Sole, e la sua prossimità alla stella potrebbe aver contribuito a mantenere liquida l'acqua terrestre. "I pianeti non si limitano a rimanere fermi, amano spostarsi" spiega Minton, riferendosi alle ormai abbondanti osservazioni di pianeti extrasolari che migrano da orbita ad orbita, o addirittura si sganciano dal loro sistema solare d'appartenenza. Secondo Milton, nell'arco di 1-2 miliardi di anni il nostro pianeta si sarebbe spostato verso la sua attuale orbita per effetto di "giochi gravitazionali" con una stella in espansione, una sorta di biliardo gravitazionale tra Sole e Terra. Se questo scenario sembra sfidare i modelli standard sull'evoluzione del Sistema solare, aspettate di sentire il resto: le migliaia di simulazioni effettuate (che, seppure con un certo grado di approssimazione, possono calcolare questo genere di giochi gravitazionali) prevedono anche la presenza di un terzo elemento in gioco, un pianeta aggiuntivo all'interno del Sistema solare interno, della massa compresa tra quella marziana e quella venusiana. La sorte di questo ipotetico pianeta (ripeto, ipotetico) non è molto chiara: potrebbe essere stato espulso dal Sistema solare, aver cozzato contro il Sole o, peggio ancora, contro un altro pianeta. Secondo le simulazioni effettuate da Milton, l'ipotetico terzo pianeta potrebbe aver colpito Venere circa 2-3 miliardi di anni fa, una collisione dagli effetti così devastanti da spingere la Terra nella sua attuale posizione. Per stessa ammissione di Minton, "il modello della collisione con Venere è un'idea plausibile, ma molto orientata alla fantascienza". Ma la sue simulazioni non fanno solo proiezioni rivolte al passato, ma possono sbirciare nella sfera del futuro plausibile. In una su 2500 simulazioni sull'evoluzione del Sistema solare, Mercurio, attualmente in orbita quasi stabile, sarà espulso dal sistema planetario nei prossimi 5 miliardi di anni. Questa sua espulsione comporterà una collisione con Venere e successivamente con la Terra, eventi che sposteranno Marte ben lontano dal Sole. Fonte: www.ditadifulmine.net