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Colombia e Nicaragua litigano per il petrolio nel paradiso caraibico di San Andrés

Creato il 26 aprile 2012 da Eldorado

Per i locali è  l’isola dal mare dai sette colori: sette tonalità diverse di blu che finiscono per specchiarsi in un cielo terso nello scenario spettacolare dei Caraibi. Stiamo parlando dell’isola di San Andrés, la piú grande dell’arcipelago che conta anche Providencia e Santa Catalina, 50 chilometri quadrati di terra di fronte al Nicaragua, ma territorio colombiano, paese da cui dista invece piú di settecento chilometri.

Un paradiso appena interessato dal turismo di massa, che arriva a piccole dosi dal Centroamerica e dai paesi dei Caraibi, ma sufficiente per aver sviluppato un’economia di tutto rispetto. Le banche off-shore o i negozi delle grandi firme si sono stabilite anche qui, quel tanto per fare di San Andrés l’ennesima ultima frontiera ormai corrotta dalle mode imposte dalla globalizzazione.

Colombia e Nicaragua litigano per il petrolio nel paradiso caraibico di San Andrés

Stabilito, con una sentenza della Corte Internazionale dell’Aja del dicembre 2007, che la sovranità delle isole appartiene alla Colombia, il Nicaragua vuole ora ottenere parte delle acque dell’arcipelago. La nuova mozione è tornata ad essere discussa nella Corte da lunedì scorso e sarà dibattuta fino al 4 maggio. In gioco, non c’è solo un vasto territorio marino abbondante di pesca, ma una estesa piattaforma che i geologi ritengono ricca di petrolio. La strategia dei nicaraguensi è quella di fare spostare il limite tra i due paesi dal fatidico meridiano 82, oltre il quale da anni rimangono ancorate le illusioni dei governi di Managua e diventare così i padroni di una fetta di oceano equivalente a 300.000 chilometri quadrati, due volte e mezza la superficie terrestre del Nicaragua.

San Andrés, nonostante le sue bellezze naturali, è uno dei luoghi più densamente abitati del pianeta. Conta, infatti, 1600 persone per chilometro quadrato. Non siamo ai livelli di Singapore, ma le cifre aiutano a comprendere come l’economia dell’arcipelago sia fiorente e le decisioni della Corte Internazionale possano scatenare speculazioni e nuovi affari. Alla finestra stanno, infatti, le compagnie petrolifere che hanno annusato l’affare e da tempo hanno presentato le loro richieste ai governi di Managua e Bogotá. Che tocchi a Nicaragua o Colombia, l’arcipelago e le sue acque sembrano destinate allo sfruttamento petrolifero. Le parole del presidente colombiano José Manuel Santos che lo scorso ottobre aveva assicurato che il suo governo non avrebbe permesso l’esplorazione sottomarina, sono cadute nel vuoto. La Colombia, infatti, deve rispettare gli impegni contrattuali (presi con la YPF Repsol) almeno in due sezioni dell’arcipelago. Sia i lavori di fronte alle coste nicaraguensi, sia quelli nelle acque colombiane mettono a rischio l’ecosistema marittimo: questo è chiaro a tutti i gruppi ambientalisti, soprattutto quelli che hanno sede nell’isola principale di San Andrés. In pericolo è infatti il Seaflower, il terzo banco corallino più grande del mondo, dichiarato dall’Unesco nel 2002 Riserva della biosfera e protetto dal governo colombiano con un decreto del 2005. Per la cronaca, la Corte, una volta raccolte le deposizioni delle due delegazioni si prenderà un minimo di tre mesi per dare a conoscenza la sua sentenza.


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