Come è triste Venezia cantava alcuni anni fa Charles Aznavour, come è brutta e Firenze scrive ieri, sul Fatto Quotidiano, Caterina Soffici in una sorta di lettera aperta al sindaco Matteo Renzi.
“Caro Sindaco Matteo Renzi, va bene rottamare, polemizzare, svecchiare, tirare fendenti e fare il ganzo ogni settimana in televisione. Ma farebbe meglio ad affacciarsi ogni tanto dalla sua aurea finestra di Palazzo Vecchio e guardare giù. Se la città che ho visto in questi giorni è il suo biglietto da visita, non mi sembra un granchè. Non sa quanto mi dispiace scrivere queste cose. Per due motivi. Primo, perché quando lei è diventato sindaco ho sperato veramente che un giovane rottamatore avrebbe fatto bene a questa città da troppi anni vittima di se stessa e di amministratori scellerati. Secondo, perché noi fiorentini della diaspora coltiviamo un’idea della città molto alta, quasi platonica. Siamo come gli innamorati cornuti che non si rassegnano anche quando l’amato bene consuma il tradimento sotto i loro occhi. Più li deludi, più si incaponiscono.
La città del nostro immaginario è di una bellezza struggente, è la capitale dell’arte e della cultura, quella che ci invidiano da tutto il mondo. Ogni volta che torniamo la troviamo invece sempre più grigia, abbacchiata e sciatta di come l’avevamo lasciata. E quindi, essendo fiorentini, dopo la tristezza ci monta la rabbia. E sa cosa che cosa fa rabbia più di tutto? La sciatteria, la mancanza di gusto, il menefreghismo. Non è solo una questione di assedio del turista di massa e di mancanza di soldi, che sono le scuse di sempre. Roma è caotica, sudicia ma vitale. Venezia è un parco giochi per gondolieri, ma a suo modo vitale. Caro Sindaco, Firenze sembra un morto che cammina. E’ questione di metterci l’anima e la testa.
Le faccio qualche esempio. E’ così impossibile impedire che la capitale del Rinascimento diventi la capitale del cemento armato? Perché fare una colata a forma di vela per costruire una pensilina del bus quando basterebbe una tettoia di ferro battuto? Ed è proprio necessario riempire i viali di cordoli spartitraffico in cemento altezza d’uomo che non sfigurerebbero come barriere anticarro in un check point di Beirut? Come in un paese appena uscito dal socialismo reale, siete riusciti anche a disseminare la città di fioriere di cemento. Nella patria del cotto e dei vasi dell’Impruneta avete permesso il proliferare di cubi grigi inguardabili, alcuni addirittura sponsorizzati dalle banche, come l’obbrobrio in via Isola delle Stinche, davanti a Vivoli, la gelateria più segnalata dalle guide turistiche del globo, mèta giornaliera di qualche migliaio di golosi. Anche lì è la fiera del cassonetto, con coreografia di graffiti sui muri e una rastrelliera dove giacciono scheletri di biciclette pre-alluvione spolpati dai ladruncoli. Non ci vorrebbe molto a portarle via e a dare un po’ di decoro alla piazza. L’arredo urbano, caro Sindaco, anche se il termine può farle schifo, è una cosa importante. Come il decoro. Non si può permettere che Firenze si riempia di insegne al neon, lampeggianti di ogni colore, con scritte talmente kitsch da far rimpiangere la celebre rubrica di “Cuore”. Arredo e decoro non sono chiacchiere per esteti. In una città come Firenze la forma è sostanza.
E qui meritano un capitolo intero i cassonetti della spazzatura: brutti e puzzolenti oggetti di plastica grigia con il coperchio blu piazzati nei posti più improbabili e in vista. Non c’è piazza che non ne sfoggi una sfilza di tre o quattro, proprio nel centro. Piazza Pitti, Piazza Santa Croce, Piazza santa Maria Novella, Piazza Santo Spirito. Tutta Firenze è un monumento, obietterete, quindi dove li mettiamo? Intanto cominciamo a escludere le piazze. Poi si può anche studiare di tornare al vecchio sistema di raccolta. Lo fanno a Londra, con dieci milioni di abitanti. Ho gioito caro sindaco, del suo blitz in piazza del Duomo contro la tramvia. Bene ha fatto a chiudere alle macchine. Ma il centro storico non è solo il Duomo. Basta girare l’angolo per infilarsi in alcuni vicoli con scorcio sul cupolone del Brunelleschi, ridotti a pisciatoi a cielo aperto nei quali non si riesce neppure a entrare per l’insopportabile puzzo di urina. E lo stesso intorno a via Tornabuoni, agli Uffizi, ai Lungarni. Per non parlare della pensilina della stazione, altro pisciatoio all’aperto e bacheca per centri sociali e studenti in cerca di una stanza da condividere. Cosa penseranno gli stranieri che scendono da un treno ed è la prima cosa nella quale si imbattono? Si ricorda la famosa bretella del Galluzzo, la galleria che doveva risolvere la viabilità a sud? Sono sei mesi che i lavori sono fermi. Sul muro qualcuno ha scritto: “Icchè s’aspetta lo scudetto per aprire questo tunnel? Piacciconi!” E un altro gli ha risposto: “Tranquilli, fate pure i vostri comodi, tanto siamo ultimi”.Per fortuna ai fiorentini l’unica cosa che non manca è la battutaccia. Purtroppo la sottile ironia in questo caso non basta”.