Com’è dura la vita là fuori

Creato il 03 giugno 2014 da Media Inaf

In infografica: una violenta eruzione di materia che esplode dalla fotosfera di una stella e il suo incontro con il campo magnetico di un pianeta. Il brillamento solare, o flare, scatena un’energia equivalente a varie decine di milioni di bombe atomiche.

Grazie alla sua discreta distanza dal Sole (da un minimo di 147 a un massimo di 152 milioni di chilometri circa) e a un robusto campo magnetico, la Terra è protetta da brillamenti e intemperie spaziali. Condizioni necessarie per trovare la vita anche su pianeti esterni al nostro Sistema. Così la vita nell’Universo potrebbe essere ancora più rara di quanto abbiamo mai pensato. E se astronomi e ricercatori a caccia di mondi potenzialmente abitabili hanno da tempo rivolto la loro attenzione ai sistemi stellari di nane rosse, per via della loro abbondante presenza nello spazio che ci circonda (si stima che corrispondano a una percentuale dell’80% delle stelle presenti nell’Universo conosciuto), nuovi studi mandano in frantumi le speranze di trovare presto gemelli della Terra capaci di ospitare la vita per come la conosciamo.

Una nana rossa è probabilmente in grado di spazzare via l’atmosfera di un qualsiasi pianeta che orbiti in quella fascia che gli astrofisici considerano abitabile all’interno di un Sistema stellare. Tempo (meteorologico) tiranno, è il caso di dire. “Un Sistema di nane rosse sottopone i pianeti che ne fanno parte a un ambiente spaziale estremo, senza parlare di stress fortissimi come il blocco dei fenomeni mareali”, ha spiegato Ofer Cohen, ricercatore dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics (CfA), durante la conferenza stampa organizzata dall’American Astronomical Society per discutere del problema.

La vita è dura nello spazio profondo e per sopravvivere torna buono un campo magnetico strutturato come quello che abbiamo sulla Terra, una sorta di scudo spaziale in stile Enterprise capace di deviare le esplosioni di energia in arrivo e trasformarle nello spettacolo visivo che conosciamo come aurora polare. Se a questo aggiungiamo la buona distanza che ci separa dal nostro gigante di fuoco: il gioco è fatto. Ma una nana rossa è più piccola e più fredda del Sole cui siamo abituati: un pianeta che voglia frequentare la zona abitabile di una stella del genere deve, di conseguenza, viaggiare molto più vicino alla sua stella garantendo temperature accettabili per avere acqua allo stato liquido. Un’orbita funestata da una situazione meteorologica da apocalisse.

L’incontro fra le particelle cariche del vento solare e la ionosfera terrestre dà origine al fenomeno delle aurore polari. Uno spettacolo che potrebbe allargarsi fino al 45° parallelo su un pianeta in orbita attorno a una nana rossa.

Cohen e colleghi hanno esaminato l’impatto dei brillamenti di una stella di questa classe sui pianeti vicini e calcolato gli effetti della costante azione del vento solare, servendosi di un modello computerizzato sviluppato dall’Università del Michigan per rappresentare tre pianeti in orbita attorno a una nana rossa. I risultati sono poco confortanti: anche con un campo magnetico simile a quello terrestre un pianeta così vicino alla sua stella non è in grado di proteggere un piccolo fazzoletto di terra dal bombardamento continuo dei flare. “Le conseguenze che possiamo trarre dallo studio è che qualsiasi pianeta potenzialmente abitabile non può che vedere la sua atmosfera andare in briciole nel tempo”, taglia corto Jeremy Drake, co-autore dello studio e ricercatore del CfA.

Magra consolazione: lo spettacolo irripetibile delle aurore polari. Su un pianeta in orbita attorno a una nana rossa potrebbero essere 100.000 volte più forti di quelle che possiamo vedere qui, sulla Terra. Con un’estensione che dai poli potrebbe arrivare a lambire le Alpi. Se la Terra viaggiasse nella fascia di abitabilità di una nana rossa la gente in Pianura Padana potrebbe assistere alla magia dell’aurora boreale ogni sera. “D’altra parte – conclude Cohen – l’umanità sarebbe torturata dagli uragani causati dal grande sbalzo di temperatura fra giorno e notte. Nemmeno la pellaccia dura dei cittadini del New England è abbastanza per questo genere di esperienza devastante”.

Fonte: Media INAF | Scritto da Davide Coero Borga


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