La svolta epocale che stiamo vivendo nel mondo é caratterizzata dal coma irreversibile delle idee illuministe. Il peccato mortale dell’illuminismo é stato quello di rinunciare all’uso della logica, da cui deriva il credere essere vero ciò che si vorrebbe che lo fosse, da cui deriva infine il ritenere fermamente possibili e realizzabili le utopie. Il nodo è il misconoscimento del principio di non contraddizione. La conseguenza é semplice: non esiste la verità, ma esistono plurime verità, tutte vere e tutte degne. Per chi guarda obiettivamente, questa affermazione suona farsesca e grottesca. In primo luogo, perché si enunzia come verità assoluta il fatto che esistano verità plurime. La contraddizione è lampante: se esistessero verità plurime non si potrebbe emettere nessun enunciato, cosa che avviene invece enunciata con sussiegosa alterigia. La matematica semplicemente scomparirebbe, e con essa il più potente strumento logico per descrivere le leggi della natura. Ma se le leggi della natura sono rappresentabili in termini matematici, ne consegue che anch’esse sono logiche, ossia non contraddittorie: quindi, anche la natura segue il principio di non contraddizione. In secondo luogo, perché se esistessero verità plurime, esse sarebbe contraddittorie le une con le altre, e quindi non vere. Si ritorna alle argomentazioni precedenti. Tuttavia quell’enunciato è terribilmente comodo, se ovviamente si è dalla parte vincente, la cui “verità” è quella “vera”, mentre le altre sono fanfaluche. E’ un modo ingegnoso per rivestire di bella stagnola un castagnaccio e spacciarlo per cioccolata. Il dramma è che c’é sempre qualcuno che ci crede, che lo vive a livello religioso. In poche parole lo mitizza. “Il popolo è sovrano, se comando io e faccio ciò che mi aggradata”. Una delle tante utopie é la così detta “società dei diritti“. Ecco così un continuo fiorire dei più disparati diritti, che immediatamente quanto modestamente sono subito definiti “sacri ed inalienabili”. Svincolati dai rispettivi doveri, e rifiutando la logica non contraddittoria, se ne possono elencare a piacere un’immensa quantità. C’é tuttavia una differenza abissale tra la proclamazione di un diritto (vero o presunto) e l’imposizione del suo rispetto. Il fatto che si dica che esista un diritto alla vita non ferma certo le mani omicide. Se si riesce a deideologizzarsi ed ad utilizzare un minimo di sano buon senso, appare immediatamente evidente che i diritti sono conquistati con lacrime, fatica e sangue, e devono essere difesi in modo altrettanto cruento. Un esempio per tutti: quando l’allora Unione Sovietica fu invasa, a nulla servirono i richiami al suo diritto di esistere come nazione. Fu semplicemente ed unicamente l’Armata Rossa a ristabilire le cose. Certo esistono delle Corti Internazionali e strumenti operativi del genere, ma un giorno o l’altro dovremo pure porci il problema di quale e quanto potere esecutivo esse abbiano in realtà. Esse avevano valore fino a tanto che dietro di loro stavano eserciti di tutto rispetto e la volontà di usarli all’occorrenza. Facciamo un esempio eclatante. Il 17 aprile 1975 i Kmer Rossi andarono al potere in Cambogia, ove instaurarono una classico regime comunista. Non stupisce quindi il fatto che «il regime dei Khmer Rossi abbia causato la morte di circa 2,5 milioni di persone attraverso carestia, lavoro forzato ed esecuzioni.» Certo, vi furono timide condanne ufficiali, ma la soluzione venne quando il 22 dicembre 1978 le truppe vietnamite invasero la Cambogia. Si notino anche i silenzi omertosi su questi immani massacri da parte di tutto il così detto mondo civile, anche da parte di coloro che in un recente passato furono oggetto di sterminio, e che per questo imputarono di colpevole silenzio mezzo mondo. Parole, parole, ma solo il Vietman intervenne a por fine al genocidio. E quante persone in Occidente votarono Partiti politici che sostenevano il regime dei Kmer Rossi! Complici? Sì complici. Sapevano ed avvallavano. Due pesi, due misure: questo il risultato delle verità plurime. Ciò detto, per inquadrare in estrema sintesi il problema, vorrei raccogliere e valorizzare un intervento del nostro Maurizio Blondet, che in un trafiletto breve quanto acuto affronta il problema della sostenibilità dei brevetti, riportando un breve di William Pfaff. Lo riporto tale e quale, perché parafrasandolo lo rovinerei.
«La Cina contro i Nasi Lunghi. Di nuovo. “Dalla lettera di un amico che vive a Pechino traggo la seguente osservazione: ‘Un importante avvocato di Pechino mi ha detto che molto del lavoro del suo studio consiste nel liquidare società miste germanico-cinesi, allo scopo di indurre il partner tedesco ad andarsene. I tedeschi si trovano a competere, in altri paesi, contro tecnologie cinesi che sono state copiate da ditte tedesche, riprogettate per abbassare i costi. Il mio amico aggiunge che a suo parere la Cina ‘è nella fase iniziale del suo ricorrente rifiuto storico delle influenze straniere, e ciò renderà impossibile per la Cina sviluppare l’ampia cultura dell’innovazione che esiste in Occidente’. Il mio amico è un ingegnere”. William Pfaff, “A Sad Story”, Herald Tribune, 31 gennaio 2012. (William Pfaff è il commentatore principe, da mezzo secolo, dell’International Herald Tribune).»
«Il brevetto (o più propriamente brevetto per invenzione) è un titolo giuridico in forza al quale al titolare viene conferito un diritto esclusivo temporaneo di sfruttamento dell’invenzione in un territorio e per un periodo ben determinato, e consente di impedire ad altri di produrre, vendere o utilizzare la propria invenzione senza autorizzazione»: così é definito da Wikipedia.L’enciclopedia online é molto chiara: «in un territorio e per un periodo ben determinato». I problemi sorgono sia quando chi non rispetta i brevetti vive fuori dal «territorio … ben determinato», sia quando non si riconosce la legislazione internazionale a riguardo. Sia la Germania sia l’Occidente in senso lato é di fronte adesso al cuore del problema: genera scienza, i cui risultati terminano in brevetti, che né sa né può difendere. Non hanno né potenza economica, né potenza finanziaria, né potenza militare per imporre il rispetto dei diritti di brevetto. Ma, soprattutto, mancano della volontà di farlo, come se si fossero bevuti il cervello. Non fumano tabacco, ma si drogano allegramente, non solo di droghe, ma anche di debiti e di ideologie. Churchill fumava splendidi sigari, ma non fece mica mettere i piedi in testa alla Gran Bretagna. A questo punto non sembrerebbe necessaria una grande fantasia per immaginarsi il futuro. Ma la colpa, e di colpa si può parlare, é solo ed unicamente dell’Occidente. Spengler aveva davvero ragione.
Pongo adesso una domanda ai Signori Lettori: Siete o meno d’accordo con la frase di Vegezio: «Si vis pacem, para bellum»? gsm