Spero che nessuno tra i miei lettori, che non sia stato preparato professionalmente a farlo, pensi di poter guardare il visivo ecografico sostenendo di poterne trarre indicazioni diagnostiche pertinenti. Difatti alla voce "Ecografia" si legge su Wikipedia: "L'ecografia è, in ogni caso, una procedura operatore-dipendente, poiché vengono richieste particolari doti di manualità e spirito di osservazione, oltre a cultura dell'immagine ed esperienza clinica".
Non cambia nulla per il fotografico. La falsa credenza che una fotografia riproduca ciò che sta davanti alla fotocamera come potrebbe farlo il sistema umano occhio/cervello è all'origine sia della vulgata la quale prevede che chiunque possa trarre da una fotografia elementi pertinenti senza essersi mai preparato a farlo, sia della necessità modaiola, ora di ritorno seguendo le oscillazioni del gusto, che una fotografia per essere "artistica", e poter quindi esprimere la soggettività di chi la fa, debba diventare un paciocco il più differente possibile dal banale aspetto che di solito ha un'immagine automatica trattenuta da una fotocamera. Oppure, ed è peggio, che se sembra "solo una fotografia" debba essere però "chiarissima" (ai miei tempi si sarebbe detto "sovraesposta"), riempita di persone catatoniche (meglio una per foto), come fossero state in precedenza pietrificate da un qualche dio vendicatore, e presa in luoghi qualsiasi, ottimo se abbandonati o talmente ripresi in dettaglio da poter essere topograficamente appartenenti all'indistinto ovunque planetario.
Ecco, magari pensando all'ecografia, e qui il prefisso "eco" acquisterebbe un significato di sostenibilità visiva, si potrebbe tentare di tornare a prendere e fare fotografie per quello che sono: dati tecnici organizzati da un dispositivo che ha una relazione tutta da comprendere, e per nulla scontata, con la complessità della percezione umana.
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