“Scusate, abbiamo un problema. Lo stabilimento sta andando a fuoco”. Così un manager della ThyssenKruppen ai tempi del tragico incidente di Torino.
Se per costruire la propria reputazione un’azienda ci mette un sacco di tempo (e soldi), per distruggerla ci vuole un attimo. L’attimo in cui la notizia diventa pubblica, grazie ad un’agenzia stampa, alla rete, ai dipendenti stessi e una volta pubblica, è impossibile fermarla. Il boomerang è partito. Un giornale di provincia riprenderà il fatto, un utente di un social network la condividerà con un contatto e più è importante e grave è la notizia (e le dimensioni dell’azienda) e più ampio sarà l’effetto ripetitore.
Ed è proprio nella “golden hour”, in quei 60 minuti in cui si gioca la crisi, che il management deve essere pronto ad affrontare la comunicazione (interna ed esterna), i media e gli stakeholders.
Se qualcuno pensasse che è possibile tornare indietro sappia che l’alternativa è il baratro.
Ed è proprio l’exit strategy (dalla crisi si deve poter uscire!) la parte più difficile da affrontare.
Purtroppo sono più i casi dove prevale il no comment che non quelli della gestione a tavolino di una crisi. L’azienda si sente attaccata e per difendersi decide di non rispondere. Tranne poi attaccare pesantemente nel momento in cui si rende conto che la comunicazione la sta danneggiando, non tanto nell’immagine, quanto nei rapporti con i clienti e gli investitori. Valutazione che viene fatta spesso ex post. A quel punto però è troppo tardi, non si può più tornare indietro.
SEMPLICI CONSIGLI……. DI DIFFICILE ATTUAZIONE
“Il silenzio è assenso” Parola d’ordine: vietato il silenzio stampa. Con i giornali, con il web – a tutti i livelli – e con il proprio team si deve comunicare sempre, informandoli in tempo reale su cosa sta avvenendo
“Le bugie hanno le gambe corte” Dire sempre la verità, evitare di fare dichiarazioni che non riuscirete a mantenere, evitare di nascondere la polvere sotto il tappeto. Ci sarà sempre qualcuno che avrà voglia di venire a controllare.
“Chi non teme corre pericolo” Comprendere la vera identità del fenomeno, non sottovalutarla (né sopravvalutarla) e tentare di gestire tutte le fasi anche quelle che apparentemente sembrano banali
“L’unione fa la forza” Creare una task force di professionisti con il compito di gestire tutte le fasi: dalle prime dichiarazioni dell’eventuale portavoce (meglio se a “metterci la faccia sia direttamente l’amministratore delegato”) fino all’ultimo snodo della rete. Non affidarsi ad avvocati o tecnici del settore ma individuare chi parlerà sempre con opinione pubblica, clienti, mass media
“L’informazione è l’anima del successo..” La comunicazione interna è fondamentale sia per informare i propri dipendenti che per condividere anche altri punti di vista, a tutti i livelli aziendali
“Accettare i propri limiti” E’ importante comprendere e affrontare le preoccupazioni, le ansie e le paure dei pubblici coinvolti
“Il troppo stroppia” Non autocelebrarsi troppo nel pensare di non aver sbagliato, mai. Non esaltare le proprie capacità, rendersi disponibili al confronto con l’esterno, non esagerare nel voler rassicurare a tutti i costi o, al contrario, rimuovere il problema
La tabella di cui sopra non vuole essere la semplificazione “in pochi punti” di un processo difficile e assai delicato, spesso portato avanti da professionisti della comunicazione che su questo hanno costruito intere carriere e credibilità professionale.
Chi scrive conosce le difficoltà di gestire l’immagine dei clienti e sa che, sulla reputazione del cliente, anche il consulente può giocarsi la faccia.
La scaletta è un semplice input con gli aspetti più importanti da “maneggiare con cura”, possibilmente affidandosi ad esperti della comunicazione.
Hanno fatto storia le crisi di aziende che hanno costruito imperi sulla propria reputazione: Coca Cola, Sony, Playstation, WikiLeaks, British Petroleum (ormai diventata un caso da manuale su come non gestire il crisis management) e che, in un attimo, l’hanno persa.
In questo blog di solito non parliamo di grandi corporation ma di realtà di medie e piccole aziende, spesso con qualche anno di vita e con crisi dalle motivazioni diverse: sul fronte occupazionale, sulla coerenza con la propria immagine, sulla credibilità del proprio prodotto, su messaggi dati in tempi e con modalità sbagliate.
Aziende più vulnerabili perché, oltre alle dimensioni e ai budget destinati alla comunicazione, operano in contesti dove l’attenzione sulle performance è maggior (la cosidetta economia green) così come il giudizio dell’opinione pubblica di fronte a scelte più o meno sbagliate.
Per definizione se operi in un settore così – peraltro incentivato dagli stessi consumatori – non dovresti lasciare a casa degli operai, non dovresti delocalizzare, non dovresti vendere prodotti che non garantiscono ciò di cui si parla sul certificato ecc. ecc.
E invece, spesso, è esattamente il contrario.
La sfida nuova è allora quella di essere in linea con le reali aspettative, anche di business, senza autocelebrarsi troppo e senza sentirsi i paladini della Terra. Un approccio più concreto sicuramente avrebbe aiutato nel risolvere tante emergenze che si stanno aprendo ora sul territorio e su cui sembra, almeno al momento, prevalga il silenzio.
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