Chiunque in questi mesi abbia visto la televisione almeno per un’ora al giorno non può non essersi imbattuto in storie penose di gente che perde il lavoro e dopo aver visto e partecipato emotivamente al dolore di questa povera gente la serenità quotidiana resta compromessa. Attenzione però, non si sta tentando di sminuire gli effetti della crisi ma solo si sta puntando il riflettore su come i media stanno rappresentando questi eventi. Soffermiamoci un attimo sulla notizia dei suicidi legati alla perdita del lavoro e alle difficoltà economiche, temi che, circa un mese fa, hanno avuto una copertura mediatica elevatissima. Per qualche giorno sembrava che quest’anno i suicidi per lavoro avessero avuto un’impennata spaventosa tanto che alcuni politici sempre bravi a far leva su argomenti facili, avevano invitato il premier Mario Monti a mettersi una mano sulla coscienza imputando a lui la causa di questi avvenimenti tragici. Tutto questo fino a che qualcuno non ha deciso di prendersi la briga di leggere i dati ISTAT e scoprire che in realtà le morti per ragioni economiche/di lavoro sono più basse rispetto agli anni precedenti.
L’impressione che si ha è che i media creino una percezione distorta della realtà e facendo questo alimentino le paure e la possibilità che certi avvenimenti possano poi accadere nella realtà. Anzi non è solo un’impressione, ma è una teoria supportata da dati scientifici e dagli studiosi dei media. Infatti, negli anni 70, alcuni studiosi come Hawkins, Pingree e Gerbner dimostrarono che la tendenza dei media a privilegiare la cronaca "nera" incrementa la paura verso il crimine anche in gente che vive in zone poco pericolose. Dai risultati emerse infatti che la paura, risulta proporzionale non alla esperienza personale, quanto piuttosto al grado di esposizione alla TV. Il problema però è che questa esposizione non solo crea una percezione distorta della realtà, ma alimenta sentimenti negativi e crea terreno fertile per l’esplosione di atteggiamenti criminali in quanto induce il criminale a sentirsi quasi giustificato nel compiere atti di questo tipo (ad esempio gli assalti a Equitalia). E veniamo al terribile episodio accaduto sabato a Brindisi di cui (per rispetto delle vittime) non trattiamo in alcun modo l’aspetto di cronaca ma semplicemente registriamo il dato che, seguendo il modo in cui i media hanno trattato la notizia, fino a ieri si gridava già al ritorno delle stragi di mafia, alla strategia del terrore, al terrorismo e tutti ieri sera siamo andati a letto pensando davvero di aver fatto un salto indietro ai momenti più bui della storia del nostro paese. Le parole che ieri sera inesorabilmente tornavano come fossero legate e interdipendenti erano: crisi economica – povertà – tensione sociale – mafia. Almeno fino a quando non ci siamo svegliati e abbiamo appreso che molto probabilmente si è trattato di un gesto isolato senza alcun legame con la mafia, ma probabilmente è stato il prodotto di una mente perversa con la passione per l’elettronica.
I media influenzano la percezione della realtà, enfatizzano le notizie per fare audience, e nel fare questo diffondono sentimenti negativi da cui non è facile difendersi se non si è sufficientemente consapevoli. Non siamo in un periodo facile, ma stiamo attenti però a non lasciarci trascinare in un clima di pessimismo diffuso che non lascia spazio alla speranza e alla volontà individuale di cambiare le cose, perché allora si che saremmo finiti. Guardiamo agli avvenimenti negativi di questa epoca come sintomi e segnali di una sistema da cambiare. Il conoscere un dato negativo non può essere solo un fatto di cronaca o un punto di share, semmai deve stimolare la riflessione, la solidarietà e la volontà di cambiamento, perché oltre a non portare nessun vantaggio alla società si rischia di cadere nel tranello che gli psicologi chiamano profezie che si autoavverano dove tanto più si pensa che accadrà una certa cosa tanto più la gente si comporta in modo tale che alla fine questa cosa che tanto teme, accade davvero.
Alessia Gervasi