Acquisire nuove conoscenze e nuove capacità è un qualcosa che rientra nel campo della ripetizione, dell’apprendimento, della memoria e della naturalezza. In Aikido e nelle Iaido, così pure in altre arti marziali del Budo e svariate discipline della tradizione nipponica (teatro Noh, cerimonia del thé cha-no-yu, calligrafia shodo, danza, pittura, ecc.), vi sono tre possibili stadi per l’apprendimento che vengono denominati: Shu, Ha, Ri.
Andiamo ad analizzarli insieme.
Primo stadio (SHU)
Stadio dell’inesperienza totale, non soltanto dalla parte del problema ma anche dalla parte del sistema, o i sistemi, per poterlo risolvere. Per esempio se mi danno una sottrazione da fare ma non mi viene spiegato cosa sia una sottrazione e il modo per poterla risolvere non riuscirò mai a scoprire il risultato finale quindi, messo davanti ad un’altra sottrazione, sarò nelle stesse difficoltà. Quindi, a questo stadio, ci vengono forniti dei movimenti basici da ripetere in maniera meccanica in modo tale che oltre ad averci dato un problema ci vengono forniti dei sistemi per poterlo affrontare e di conseguenza più un gesto si ripete all’infinito più questo entrerà nei nostri schemi mentali e diverrà naturale per noi. Ci sono milioni di esempi ma forse il più semplice è il mangiare. Chiunque abbia un piatto di pasta davanti a sé sa, senza bisogno di crearsi in mente uno schema, che dovrà prendere la forchetta, arrotolare la pasta e portare il tutto alla bocca, masticare ed inghiottire. Questo gesto che ripetiamo ogni volta che mangiamo qualcosa, è entrato così bene nei nostri schemi mentali che mentre lo facciamo possiamo compiere anche altri gesti o focalizzare la nostra attenzione su altre cose. Non rischiamo sicuramente di infilzarci con la forchetta o di sporcarci con la pasta perché non abbiamo centrato il buco della bocca.
Nelle arti marziali succede praticamente la stessa cosa, prima cercheremo di copiare i movimenti che il Maestro ci ha mostrato poi, una volta che i gesti sono diventati nostri, riusciremo a farli senza pensare e questi diverranno sempre più fluidi e naturali e anche più personali, acquisendo il “nostro” stile. Alla fine non soltanto potremmo affrontare altri problemi, o situazioni, ma avremo tutto ciò che ci serve per poter risolvere le cose senza che ci venga più detto come fare. Cammineremo con le nostre gambe. Anche se, naturalmente, ancora faremo degli errori e il nostro impegno nello studio non deve affievolirsi.
Secondo stadio (HA)
In questa fase l’allievo ha adeguati strumenti tra cui scegliere per poter risolvere dei problemi che gli vengono sottoposti durante la pratica. La propria esperienza comincia ad essere più ampia e, siccome non esiste una soluzione unica per ogni problema si comincia ad esplorare altre metodologie nell’approcciarsi anche alle semplici tecniche. Si comincia a ragionare non solo sulla tecnica in senso “meccanico” ma anche a capirne i principi che la governano e la rendono sempre più fluida e naturale.
Si può anche cominciare a fare una distinzione tra le varie scuole o i vari stili cercando di capire le peculiarità di ognuno. Osservando un altro praticante si noteranno alcuni suoi limiti e punti di forza. Nella fase Ha possiamo decidere in tutta tranquillità quale soluzione adottare, tra quelle disponibili nel nostro bagaglio marziale, per il superamento di un ostacolo e vedere se il risultato ci soddisfa e capire se è come l’avevamo immaginato all’inizio.
Terzo stadio (RI)
Questa è la fase più delicata (attenzione non ho detto importante) dove il praticante trascende ciò che era meccanico o a scelta multipla ma diventa padrone del suo corpo e della sua mente e, senza pensare a quale soluzione scegliere, questa esce e si esprime attraverso di lui in maniera naturale e del tutto spontanea. Non solo, in determinati momenti si riesce a creare qualcosa di totalmente nuovo e non insegnatoci prima per la risoluzione di una situazione. Solo dopo anni di pratica in questa fase una persona si può considerare, o meglio, verrà considerato, un Maestro.
A questo punto non credere che sia finita, ci sono gli allievi a cui pensare e dei quali occorre avere la massima cura. Loro sono il nostro riflesso e ciò che di meglio abbiamo da offrire loro e ciò che l’aikido o l’arte marziale che abbiamo studiato ci ha insegnato. Anche con gli allievi è bene seguire le stesse fasi e stando attenti a non precorrere i tempi tra una fase e l’altra poiché si richierebbe di confondere gli allievi. Quando l’allievo si trova in una fase, come per esempio Shu, è deleterio dare consigli delle due fasi successive altrimenti si rischia di sovraccaricare il praticante di nozioni a lui incomprensibili nella prima fase. Se diamo troppe informazioni, troppe varianti su come eseguire una tecnica, il giovane Budoka farà quasi sicuramente un mix delle informazioni ricevute sbagliando la tecnica.
La stessa cosa vale per i consigli troppo incomprensibili per un neofita come il sempre classico “non pensare, fallo”. E vediamo il poverino con un’enorme punto di domanda sulla testa che si domanda tra se e se come si possa fare una cosa senza pensarci. Ogni stadio dell’apprendimento va eseguito nei tempi giusti e allora vedremo un allievo prendere davvero consapevolezza di se stesso e dei principi dell’aikido e del Budo. Ovviamente non voglio insegnare nulla a nessun maestro che possa leggere le mie parole ma vorrei aiutare i neofiti e i giovani praticanti ad avvicinarsi alla comprensione di ciò che un Sensei dice loro per camminare con serenità sulla via del Budo.
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