quando hai molto tempo per osservare le dinamiche umane vivi come in un acquario.
il mondo non se ne accorge che sei lì ad osservare costantemente tutto quello che accade intorno ed invece tu ci sei, capisci o non capisci, osservi. e niente è più interessante che notare senza essere notati. la gravidanza è uno di questi momenti da acquario; un periodo in cui inevitabilmente tutto rallenta, quindi tu hai tempo per osservare attraverso un affaccio sul mondo abbastanza privilegiato: quello di chi nota, nell'altrui convinzione che sia troppo preso d'altro per notare.
in questi nove mesi ne ho notate varie di cose, nessuna una grande rivelazione, sia chiaro. ma una cosa che ha attirato la mia attenzione è una fenomenologia banalmente diffusa nella specie umana: la difficoltà a partecipare al bello delle persone che ci sono attorno.
non intendo la condivisione di una bella serata, di un bel quadro o un di un bel momento, giacché queste sono cose che in qualche modo coinvolgono tutti i protagonisti; piuttosto quella disinteressata e sincera compartecipazione al bello che accade alle vite degli altri, quando la loro bellità non tocca in nessun modo la propria vita.
essere felici gratis è più difficile che essere tristi gratis.davanti a brutti eventi è più facile esserci. come se le nostre vite fossero un "gioco a somma zero" in cui tra guadagni e perdite reciproche debba necessariamente esserci un equilibrio. il male degli altri migliora la nostra autopercezione, "esserci" equivale ad una facile pettinata d'autostima che l'ostentazione di compassione e solidarietà porta con sé di default.
invece la propensione a guardare le vite altrui come immancabilmente più intriganti delle nostre ci porta ad essere avvinti dalla normalità che c'è nelle disgrazie che accadono anche agli altri: rende loro più umani e noi meno sfigati. è come una sensazione di equilibrio cosmico che mette in pace le coscienze e fa trovare il tempo di condividere un pezzo di esistenza brutta con chi in qualche modo diviene più simile per la sfiga di avere una sfiga.cosa più complessa è esserci, spassionatamente, empaticamente, sinceramente - e soprattutto restarci - quando agli altri succede qualcosa di veramente bello. a questo non siamo preparati. siamo a tal punto disadattati emotivamente che il bello degli altri viene vissuto come un torto esistenziale di un cosmo ingiusto. come se quando c'è della felicità nell'aria le persone non avessero più bisogno di ossigeno e di relazioni, di sostegno e di compartecipazione. come se la felicità fosse un torto al grande gioco degli equilibri e per di più, non guadagnandoci nemmeno in autostima, senza che lo sforzo valga l'impegno. quando vedi che qualcuno rimane e partecipa alla tua felicità allora puoi stare sicuro che quel qualcuno ha il bello dentro, ma soprattutto che ci sarà sempre e a lui, solo a lui, potrai scoprire le carte del bagaglio di apprensioni che le cose belle si portano dietro.
perché anche quando succede una cosa spettacolare hai bisogno che qualcuno ti dica che comunque vada, andrà tutto bene.
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