"Semplicità significa sottrarre l'ovvio e aggiungere il significativo". Mi sembra veramente illuminante, ai nostri giorni, questa regola. John Maeda, designer e artista visivo oltre che docente di Media Arts e Sciences al MIT, la ritiene, tra le leggi della semplicità, quella che le riassume tutte. E la considera valida non solo nel design, ma anche nell'approccio alla realtà, nelle tecnologie, negli affari e nella vita in genere.
Invece, in questi nostri tempi, quando, per giunta, non siamo ancora del tutto consapevoli che l'attuale crisi sociale ed economica è appesantita e resa più indecifrabile da una crisi di significato, pare che si tenda a seguire la regola opposta: per rendere tutto più semplice mettere da parte i significati e puntare tutto sull'ovvio.
Oggi, sembra che tutti concordino sul fatto che la semplicitàè auspicabile, - se non altro perché appare necessaria anche per assicurarsi una esistenza più sana, - solo che il "semplice" non è l' "ovvio", e non è sinonimo di facile, piuttosto, è difficile da afferrare, perché ha bisogno dicoraggiosi colpi d'ala, ha bisogno di creativi cambiamenti di prospettiva.
L'ovvio è il ripetitivo, è l'abitudinario, il rituale, l'ortodosso, lo sperimentato, il prevedibile, l'automatico. E corre il rischio di trasformarsi soltanto in una "pratica", un "fare", curato magari con ossessiva precisione meccanica, tutta giocata sull'intelletto e priva di intuizione e immaginazione. Un "fare" di questo tipo, però, è in grado di convivere perfettamente anche con l'assenza di significatività. Si sposa bene con quell'oblio dei significati o con quella impossibilità di rintracciare o immaginare significati che attraversa, talvolta,in modo permanente, il nostro "correre" quotidiano. È quel tipo di "fare" che genera una oscura esperienza di mancanza di senso che talora può mettere a rischio con modalità diverse anche la salute mentale.
La semplicità, abbiamo detto, non è facile da afferrare perché consiste in un emergere di significatività che, come un lampo o una visione improvvisa, investe i diversi ambiti e momenti dell'esistenza, una volta che si sia riusciti a ridurne l'ovvio. La semplicità, dice John Maeda, è "come le bolle in un bicchiere di champagne, che salgono in superficie in maniera fluida, elegante e imprevedibile".
Ora, invece, se si fa attenzione a quello che, di solito, accade negli ambiti, importanti o meno, della vita, cosa si nota? Troppe ovvietà nella politica, troppe nell'economia, troppo "ovvio" anche nelle scienze e nell'educazione, troppo "ovvio" nelle chiese e nell'etica, troppe ovvietà nell'informazione, nella vita di relazione o nel tempo libero. Certo l'ovvio "appare" più semplice e rassicurante, ed è più comunicabile. ma, attenzione, il semplice non può essere l'appiattimento. Tutto ciò che è ovvio produce stanchezza e alla fine sembra non aver più significato, sembra non dire più niente di importante per la vita delle persone. Chi non ha notato, infatti, che, molte volte, anche relativamente a questioni e aspetti importanti del vivere, sembra venir meno, nelle persone, non solo il desiderio, ma anche la banale e "naturale" curiosità di sapere e di conoscere? Tutto appare scontato e come se non avesse più niente da dire. Tutto tende a diventare solo una ossessiva coazione a ripetere, a fare!
Ci servirebbe davvero riuscire a riscoprire quella significatività, in grado di donare "anima" alle nostre cose, al nostro progettare, al nostro "fare" e al nostro stare insieme. Avremmo proprio bisogno di assaporare la semplicità e l'essenzialità, cuore della semplicità. Ma, per questo obiettivo non ci servono quei "pigri" maestri, addestrati a ripeterci monotonamente le loro lezioni e i loro formulari, ma incapaci di intelligenza ermeneutica e di mutamenti di prospettiva. Forse ci servirebbero solo dei facilitatori, o "allenatori", creativi, artisti, fantasiosi, - (non dovrebbero essere questo, gli intellettuali, le persone di cultura e i maestri?) - in grado di destare in noi quello sguardo nuovo, appassionato all'interpretazione "fine", anche delle cose abituali oltre che delle grandi questioni del vivere. Uno sguardo che faccia leva soprattutto sull'intuizione, oltre che sull'intelletto, che sia in cerca di soluzioni meno scontate, e meno "calcolate". Sì, proprio quel tipo di sguardo che ci faccia reagire alle cose e agli eventi "come le bolle in un bicchiere di champagne, che salgono in superficie in maniera fluida, elegante e imprevedibile".
Come la semplicità, sottraendo l'ovvio e aggiungendo il significativo!
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