Come leggere un racconto /12 – Greenleaf di Flannery O’Connor

Da Marcofre

Una volta il signor Greenleaf le aveva fatto osservare che i suoi figli non distinguevano il fieno dallo strame. Lei, di rimando, gli aveva fatto osservare che avevano altri talenti: Scofield era un affarista di successo, e Wesley era un intellettuale di successo.

Si torna al signor Greenleaf, ma stavolta la narrazione si sposta un poco: dalla signora May e da lui, andiamo a far la conoscenza anche coi figli. Quelli della signora May li abbiamo già incrociati; lei non è entusiasta ma che può fare? Li difende: sono figli.
Possiamo intanto notare un paio di aspetti di questo racconto, o meglio di come viene costruito.

Il primo: le informazioni a proposito di protagonisti, ambiente e personaggi secondari sono snocciolati senza fretta. Il lettore non è un otre da riempire fino all’orlo di dettagli e notizie; ma va accolto e accompagnato. Siamo alle prese con un mondo creato dall’autore per parlare al nostro e dire qualcosa. Interpretarlo.

Quello che però deve essere chiaro nella testa di chi scrive, è che si tratta sempre di una costruzione. Non tutti gli elementi sono importanti, ma ciascuno ha un suo ruolo, non sta sulla pagina perché c’è spazio a disposizione. Parla, e anche se non “dice nulla” svela qualcosa. La signora May non condivide nulla delle idee dei figli, o buona parte di esse, ma non perde occasione per vantarne i meriti. Sono uomini di successo, secondo una categoria molto americana in voga allora, e adesso. Ricordo solo che Scofield:

si occupava di quelle (assicurazioni) riservate alla gente di colore.

E questo disgusta la madre. L’altro figlio è un intellettuale: di successo, si capisce. È importante anche comprendere come il valore delle apparenze sia un elemento essenziale nella vita della signora May. Lei per esempio non crede che ci sia qualcosa di vero in Dio, però è una buona cristiana. Rispetta le abitudini del luogo dove vive. Quello che pensa sul serio è affar suo, così come quello che pensa “davvero” dei figli è una faccenda che riguarda solo lei.

Il secondo aspetto: anche il fiume rallenta la sua corsa, prima di riprenderla più forte di prima, e arrivare al mare. Di che cosa sto parlando? Ogni romanzo o racconto, non ha fretta di arrivare al “sodo”. D’un tratto, pare che ci sia la necessità di tirare il fiato e guardarsi attorno. In parte è proprio così, ma di solito questo espediente è usato dall’autore per dimostrare che la scrittura è una malia. Non importa se il libro denuncia gli orrori della guerra, i traffici delle multinazionali, o svela chissà cosa. L’autore sa (o dovrebbe sapere) che non si tratta solo di illustrare, essere efficaci e tratteggiare con precisione e realismo i personaggi.

Arrendiamoci all’evidenza: la narrativa è la più inutile delle attività umane, e proprio quando sprofonda nell’inutilità spesso saltano fuori pagine di pura bellezza. Non è magari questo il momento, ma un autore deve essere consapevole della verità, e quando scrive deve rendere onore a essa. E scrivere delle pagine “inutili”, per il puro piacere di… donare piacere a chi legge. Se è davvero bravo, il lettore non si accorgerà affatto di essere finito in un ramo del tutto secondario del fiume. Si ritroverà alla foce senza nemmeno rendersene conto.

Procediamo ora.

I ragazzi Greenleaf avevano due o tre anni meno dei ragazzi May. Erano gemelli, e non si riusciva mai a capire se si stava parlando con E.T. o con O.T., e loro non avevano mai la finezza di illuminarvi in merito. (…) Quando aprivano bocca, certo, la differenza si sentiva, ma non l’aprivano quasi mai.

Che differenza rispetto ai figli “di successo” della signora May, non è vero? I classici contadini statunitensi che in italiano si possono definire “bifolchi”. Però nel loro piccolo, non sono degli sprovveduti.

La loro trovata più brillante era stata di lasciarsi spedire oltremare e di prendersi due mogli francesi. (…) le quali, naturalmente, non potevano capire che i loro mariti assassinavano la lingua inglese (…).

La guerra ha fatto la fortuna dei due Greenleaf: mogli, pensione (sono stati feriti in combattimento), altre facilitazioni, poi casa e terreno ottenuti grazie al Governo. Quindi tre figli a testa che sarebbero stati spediti alla scuola dei preti per imparare le buone maniere.

“E tra vent’anni sapete che cosa sarà, quella gente?” aveva domandato la signora May a Scofield e a Wesley. “Buona società”, aveva concluso, funerea.

Costei vede sorgere forse un altro mondo, e lo considera solo come una minaccia. Il fatto che nel giro di qualche anno dei bifolchi siano “buona società” non può che considerarlo come una iattura. Al di là di quello che pensa la signora May, non possiamo che ritrovare due concetti. Questa donna sa tutto, ma non sorprende più saperlo, giusto? E accanto a questo, l’evoluzione di una famiglia, che diventa buona società. È sempre andata così. il mondo gira perché qualcuno abbandona una condizione per abbracciarne un’altra; ma la signora May ha costruito troppe sicurezze attorno a sé per saperlo, o ricordarselo.

Delizioso quel:

funerea.

Con il quale la donna di fatto emette un giudizio senza appello che colpisce il futuro, il mondo intero, destinati entrambi a un destino triste. Quando persone e cose escono dai loro ambiti, ne derivano sempre danni.


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