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Come li mi nonno desso anche io
pensai, di fuggire, in un giorno pio
vedendo quali pigrizie m’arrovellavano
e quali gioviezze l’allumenavano.
‘Nfossato ‘n una valle stea Pino,
el nonno meo, irto e spirto
che la sua Rosa coltivava
co’ la voglia d’uomo che amava
Egli avea indirintorno
alti fusti, più di lui,
che quiete davan dal caldo giorno,
alla Rosa che in casa stea.
Quella casuzza un poco ammaccata
tutta d’edera era tormentata
ma ei non ne tenea conto ‘che
la mattina, primo dello gallo,
iva a ricercar li freschi
corbezzoli, mele e castagne
‘nche le fragole e le more,
pigliati per la Rosa sea.
Colazione in un attimo facea
che la casa già era piena,
dal giorno spento, di frumento
e delle altre delizie che ei coltivea.
Nelle stagioni che passavano
l’acino crescea che lui lo prendea
e li vino, come li romani,
facea coi piedi suoi
E zappava le terre, e pigliava
l’acqua dalle ruscelle;
qualche suo mico della caccia
gli portava, che la sera
ei mangiava. Ella sempre zitta
stea, l’unica cosa che facea
era aggiustar ciò che avea
in qualche piacevole bontà.
Nonostante ei patia freddo e
caldo per la terra sua, sempre
veglio era e sentimento avea
per quella sua creatura.
Alla fine, tutti e due, ai piedi
del Morfeo, pregavan’ el loro Dio.
Ella chiedea che el’Pino non
seccasse e che l’indomani
Nuove cose le portasse. Ei
chiedea alla Terra de resistere
nella tenue vita de sole e pioggia
che tutto facea crescer rigorgia.
Poesia candidata al Premio internazionale di poesia Piccapane