Come misurare la velocità della luce e quella del … buio!

Creato il 14 febbraio 2011 da Gifh

Una sfera integratrice da 3 metri per la misura di illuminanti di grandi dimensioni.

E’ molto facile, disponendo degli strumenti adatti, misurare le numerose caratteristiche fisiche associate alla luce e alla sua interazione con i materiali, intensità, tonalità, saturazione, coordinate tricromatiche, temperatura di colore, riflessione, rifrazione, lunghezza d’onda e frequenza sono solo alcuni esempi delle principali proprietà che si stimano con apparecchiature specialistiche, spesso sofisticate e molto costose.
Questi parametri sono ampiamente utilizzati da chimici, astronomi, grafici, carrozzieri e formulatori di vernici, dai tecnici video e dai fotografi, e da tutti coloro che operano nei settori in cui la fotometria e la colorimetria giocano un ruolo rilevante.
Misurare la velocità della luce invece, nonostante gli ordini di grandezza che la contraddistinguono, potrebbe rivelarsi un gioco da ragazzi.  E’ sufficiente munirsi di un comune forno a microonde e di un righello! Almeno questo è ciò che si trova con una ricerca superficiale, ma la questione è un po’ più complessa di così…

Rappresentazione grafica dello spettro elettromagnetico. Imagecredit: Wikimedia Commons

Le microonde, come tutte le onde elettromagnetiche, viaggiano alla velocità della luce, ma sono caratterizzate da una lunghezza d’onda che varia da 1 mm a qualche centimetro, circa 12 cm nel nostro caso. Numerose fonti [1-5] descrivono un metodo per misurare la velocità della luce tramite l’uso di un forno a microonde. Dopo aver rimosso il meccanismo di rotazione, è sufficiente inserire per pochi secondi nel vano cottura una pietanza cruda (gli esempi citati spaziano dai chips al cioccolato, al bianco d’uovo, formaggio grattuggiato e perfino le ultrayenkee marshmallows!) e misurare con un righello i punti bruciacchiati (i cosiddetti hot spots). Questi infatti, dato che il principio di funzionamento del forno a microonde è basato sulle onde stazionarie, si dovrebbero trovare ad una distanza tra loro che dipende dalla frequenza, secondo la formula:

f = c/λ

dove f è la frequenza, c è la velocità della luce (nel vuoto) e λ è la lunghezza d’onda, e da cui ricaviamo:

c = f*λ

La frequenza di questi piccoli elettrodomestici si aggira intorno ai 2,5 GHz, mentre la lunghezza d’onda è il doppio della lunghezza misurata tra due hot spot (semionda), che sulle fonti viene stimata in 6 cm. Quindi otteniamo:

2,5 *109 Hz /0,12 m = 0,3 *109 m/s

che sembra una buona approssimazione di c, pari secondo le misure più precise a 299 792 458 m/s.

Rappresentazione bidimensionale di un onda stazionaria all'interno di un risuonatore cavo. Imagecredit: Wikimedia Commons

Il problema tuttavia è più complesso di quanto sembri, e prima di performare una dimostrazione fallimentare nella vostra classe, provateci almeno una volta per conto vostro. Infatti sarà ben difficile misurare con precisione due hotspot separati da 6 cm esatti (o 6,12 cm se usate un comune fornetto a 2,45 GHz), a causa del fatto che l’onda stazionaria presente nel vostro fornetto non è propriamente monodimensionale, né si può approssimare come se fosse una singola onda piana monocromatica. Il campo elettromagnetico prodotto è tridimensionale e dipende da molti fattori come le dimensioni della camera di cottura, le ampiezze risultanti dalle perturbazioni con il cibo, le dinamiche del risuonatore cavo e della gabbia di Faraday, e per una comprensione esaustiva delle funzioni di stato è necessario chiamare in causa le fatidiche equazioni di Maxwell, di cui vi risparmio la dimostrazione, ma che tuttavia potrete approfondire facilmente. [6]

Qualcuno vede un hot spot? (l'immagine era ospitata su un sito non più raggiungibile)

La questione più dubbia in assoluto è che le misurazioni visibili nelle fonti succitate sono alquanto discutibili, infatti è impossibile dimostrare alcunché con una misura secca e arbitraria, e verrebbe quasi da pensare che foto come quella a sinistra siano affette da un imperdonabile bias, frutto forse di un facile entusiasmo abbagliante e avventato. Dunque, se ritrovate una misura esatta di 6,12 cm, corrispondente alla semionda stazionaria ideale per un fornetto funzionante a 2450 MHz, sarà solo per un caso fortuito, e ciò non dimostra alcunché. Per una misurazione priva di soggettività è necessario ricorrere a un piccolo trucco e tanta pazienza. Nel fornetto bisognerà introdurre un foglio di carta termica (quella che un tempo si usava per i telefax, oppure in alternativa, è possibile raccogliere un po’ di scontrini della spesa e fare un collage delle dimensioni della camera di cottura). Dopo un’opportuna umidificazione della carta termica, sarà necessario qualche piccolo test preliminare per individuare la tempistica più adatta (in genere sono sufficienti pochi secondi), in modo da avere una mappatura risoluta dei picchi massimi delle  microonde all’interno del fornetto, e procedere ad una serie di misure che attestino l’assenza di distorsioni tramite uno schema regolare.

Plot 3D della distribuzione della densità di potenza assorbita. Imagecredit: Wensh.net

A questo punto segnando i centri delle macchie scure che si formano sulla carta è possibile ottenere una visione alquanto precisa di ciò che succede all’elettromagnetica del vostro fornetto, il metodo viene anche utilizzato per individuare le zone cieche del piccolo elettrodomestico al fine di migliorarne le performance e ridurre le variabilità di cottura, a cui in genere si rimedia con il meccanismo di rotazione. [7] Nel video seguente si può osservare l’effetto delle microonde sulla carta termica, per una durata di una dozzina di secondi e una larghezza di circa 30 cm.

Segnalo anche l’esistenza di un metodo di gran lunga più sofisticato, basato sul presupposto che nel vuoto, la velocità degli impulsi elettromagnetici è pressoché identica alla velocità della luce e si addice particolarmente alle strumentazioni presenti in qualsiasi laboratorio di elettronica, anche amatoriale. Il metodo sfrutta le proprietà di conduzione di un cavo coassiale, si avvale della riflettometria nel dominio del tempo (TDR – Time Domain Reflectometry) e consiste nell’inviare lungo il conduttore un impulso di brevissima durata, misurandone il tempo di ritorno. Questo è lo stesso criterio che fu impiegato negli anni ’40 per individuare e localizzare eventuali difetti nelle linee telefoniche, e per stimare il ritardo di segnale importantissimo nelle sincronizzazioni orarie. [8]

Stima della distribuzione della materia oscura (22% della massa dell'universo) e dell'energia oscura (74%). La materia 'normale' costituisce solo lo 0,4% della massa dell'universo. Imagecredit: Wikimedia Commons

Orbene, se misurare la velocità della luce potrebbe rivelarsi un’impresa complicata, la misurazione della velocità del buio parrebbe quasi una barzelletta da nerd. Immagino volti increduli e forse sprovveduti che obiettano su un falso problema: il buio è assenza di luce, quindi non è un onda quantificabile nelle sue proprietà. O ancora, il buio emerge quando la luce è andata via, alla sua solita velocità, quindi la velocità del buio è uguale a quella della luce, magari con un segno negativo. Oppure qualcuno potrebbe anche sostenere che il buio ha velocità pari a zero, ossia nulla (è fermo?). Ciononostante, pensandoci bene e tralasciando il categorico termine “buio” in luogo della più consona oscurità, viene automatico pensare che essa corrisponda ad una relativa assenza di luce, come ben lascia trasparire l’inglese darkness, opportunamente contrapposto al suo inverso, brightness, luminosità. Infatti è noto che non esiste il nero in senso assoluto, e questo in colorimetria assume il valore puramente teorico di zero nella scala delle luminanze, dove all’estremo opposto troviamo il bianco teorico con un valore pari a cento. Nella realtà del nostro universo invece, non esiste nulla di così estremo, anche il buco nero più nero che ci sia, la più potente calamita gravitazionale, rilascia quella che viene identificata come radiazione di Hawking, di cui potete leggere qualche cenno nell’articolo linkato, quindi non potrà mai essere nero al 100%, ma può solo avvicinarvisi.

Senza però necessariamente entrare nel filosofico più spinto, e riducendo il problema in termini prettamente relativistici, qualcuno è riuscito davvero a misurare la velocità del buio, o meglio, a rilevare le perturbazioni dell’energia oscura. I ricercatori Roland de Putter e Eric V. Linder dell’Università di Berkeley, California, e Dragan Huterer dell’Università del Michigan pubblicano su Physical Review una dettagliata ricerca dal titolo ispirante: Measuring the speed of dark: Detecting dark energy perturbations. La natura dell’energia oscura può essere esaminata non solo attraverso la sua equazione di stato, ma anche attraverso la sua microfisica (la fisica che studia fenomeni che avvengono su scala microscopica), essendo caratterizzata dalle velocità soniche delle perturbazioni alla densità e alla pressione dell’energia oscura. Mentre la velocità del suono scende a livelli inferiori a quelli della velocità della luce, la disomogeneità dell’energia oscura aumenta, influenzando sia la radiazione cosmica di fondo che lo spettro di potenza della materia.

Il paper sottolinea che con i dati attuali non è possibile vincolarsi significativamente sui valori della velocità del suono, poiché l’energia oscura è una forma di energia considerata ancora come ipotetica, ed è stata introdotta solo di recente nello studio della cosmologia per spiegare le osservazioni di un universo in accelerazione come pure per colmare una significativa porzione di massa mancante dell’universo (circa il 90%). In questo frangente si cominciano a mostrare risultati più interessanti per i più recenti modelli teorici sull’energia oscura. Per esempio il modello più appropriato per i dati attualmente disponibili ha una leggera preferenza per la dinamica [w(a) ≠ -1], possiede gradi di libertà distinti dalla quintessenza (cs ≠1), e rileva un’incipiente presenza di energia oscura [Ωde (a << 1) ≠ 0]. Ulteriori dati potrebbero aprire una nuova finestra su questa misteriosa energia, tramite la misurazione delle sue variazioni nello spazio e nel tempo. [9]

Naturalmente questa è solo la traduzione (un po’ maccheronica in verità) dell’abstract dal titolo leggermente plateale, ma che ci proietta inevitabilmente nei meandri più profondi della fisica di frontiera e della cosmologia teorica, oggetto di ardue ricerche da parte degli scienziati più temerari e oserei dire benevolmente, più spensierati tra le file dei fisici teorici.

Impertinentemente, come mio solito, concludo stavolta con una frase dello scrittore e glottoteta (non è una parolaccia!) Terry Pratchett, che ammicca sornione:

Light thinks it travels faster than anything but it’s wrong.
No matter how fast light travels it finds the darkness has always gotten there first, and is waiting for it.

[1] http://www.physics.umd.edu/ripe/icpe/newsletters/n34/marshmal.htm
[2] http://www.bbc.co.uk/norfolk/features/ba_festival/bafestival_speedoflight_experiment_feature.shtml
[3] http://www.mrhood.co.uk/pub/?p=151
[4] http://superpositioned.com/articles/2006/03/09/measure-the-speed-of-light-with-chips
[5] http://orbitingfrog.com/blog/2008/05/13/measure-the-speed-of-light-using-your-microwave/
[6] http://www.wensh.net/archive.php/topic/1527.html
[7] Kharkovsky S N, and Hasar U C, Measurement of mode patterns in a high-power microwave cavity, IEEE Transactions on Instrumentation and Measurement, 2003, 52:1815-1819
[8] Un esperienza per “dilettanti” sulla misura della velocità della luce di Marco Brusadin

[9] de Putter, R., Huterer, D., & Linder, E. (2010). Measuring the speed of dark: Detecting dark energy perturbations Physical Review D, 81 (10) DOI: 10.1103/PhysRevD.81.103513


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