Lo scorso 8 dicembre 2014, in un noto teatro di Bologna, è andato in scena uno spettacolo di danza orientale che faceva parte della normale programmazione artistica di detto teatro, a fianco delle opere di prosa, teatro canzone ecc. inserite in cartellone.
Non era presentato come un saggio di una scuola, quindi, ma come un vero e proprio show di professioniste indirizzato al pubblico del circuito (come è tipico ad es. per la danza moderna o contemporanea).
Ovviamente questo ha attirato la mia attenzione, perché per esperienza diretta in Italia sono rarissime le occasioni in cui la danza del ventre esce dai confini degli addetti ai lavori (= altre ballerine + relativi parenti, amici, fidanzati ecc.), per rivolgersi a un pubblico più ampio, frequentatore più o meno abituale dei teatri, con pari dignità rispetto ad altre forme d'arte.
Il titolo dello spettacolo era Desertika ed era portato in scena dalle compagnie Shruk el Shams (qui in un mio scatto) e Lunar Dance Company, che per l'occasione avevano coinvolto come ospiti anche alcuni gruppi di danza orientale emiliani.
Ovviamente ho preso il mio biglietto e sono andata, con l'intenzione di godermi lo spettacolo (cosa che ho fatto!) e saperne un po' di più su questa loro sfida per cambiare il "normale corso delle cose".
Missione compiuta, quella di attirare anche un pubblico "profano"? In parte sì, ma sicuramente c'è ancora da lavorare, come affermato dalle stesse direttrici artistiche di Desertika con cui ho fatto una interessante chiacchierata dopo lo show.
Eccoti qui dunque un estratto di questa intervista, sperando possa fornirti alcuni stimoli di riflessione sulle possibili strade per far riconoscere la danza del ventre come prodotto di alto valore artistico e culturale (ovviamente quando ce l'ha!).
Ti avviso che si è trattato della mia prima intervista, quindi certamente il mio approccio è da migliorare, e sono state molto più brave loro nel dare le risposte che io nel porre le domande. Ma come sempre ciò che conta è il fare l'esperienza mettendoci il massimo, e imparare da essa per essere più efficace la volta dopo.
P.S. Anche tutte le foto che ho caricato sono mie... Me ne prendo la responsabilità :-)LEGENDA INTERVISTA
A= Anna (intervistatrice)
G= Giulia Saamya (direttrice artistica Shruk el Shams)
S= Silviah (direttrice artistica Lunar Dance Company)
F= Federica Faith (direttrice di produzione)
S: Di Giulia in particolare. La volontà era di creare una sua compagnia in stile orientale e di affiancarle un gruppo che facesse tribal fusion, e quindi mi ha contattata perché io creassi tale gruppo. Quindi la Lunar Dance Company nasce in realtà per Desertika. E poi ovviamente fa cose anche a parte, però nasce per questo progetto.
A: Avete firmato voi direttamente le coreografie, oppure le avete sviluppate anche in collaborazione con le altre ragazze?
S: Io avevo incominciato creandole tutte, mentre poi il Balkan (la seconda coreografia in scaletta) è nata da una collaborazione con Federica. È una coreografia fatta a quattro mani.
F: E due fianchi!
G: Anche nel mio caso sono mie creazioni, però ovviamente c'è sempre l'aiuto delle altre ballerine.
A: In Desertika che rapporto c'è tra improvvisazione e creazione coreografica? Ovvero ci sono spazi per l'improvvisazione?
S: Questo è spettacolo è tutto coreografato, tranne il mio assolo che è totalmente improvvisato.
G: Sì, anche all'interno di un gruppo, se ci sono parti più solistiche io posso fare una parte diversa perché magari sono al centro da sola. A parte questo, però, all'incirca tutto lo spettacolo è coreografato.
A: Mi interessava sapere una cosa collegata alla mia esperienza diretta con musicisti professionisti che lavorano per il teatro. Visto che siete in tante, come gestite le prove e più in generale l'organizzazione della compagnia?
F: Ci sono io, il "master mind" della compagnia. Io ho tenuto le redini della baracca! [ Risate generali, ndi] Come lavoro io vengo dal settore dell'organizzazione eventi, quindi mi sono detta, va beh visto è una cosa che mi viene bene, mettiamola a favore della danza. Per la data di Milano avevamo degli sponsor e abbiamo fatto un bel botto. Per quanto riguarda Bologna, la parte organizzativa più complicata è stata quella di trovare il teatro che ci accogliesse e ci mettesse in stagione. È una cosa difficile per la danza orientale!
A: Infatti questo è stato il motivo che mi ha spinto a intervistarvi. Il mio sogno sarebbe infatti quello di portare la danza del ventre in tutte le sue sfaccettature fuori dal mondo degli addetti ai lavori e aprirla al pubblico più ampio che si interessa di musica e teatro.
F: Infatti questo spettacolo potrebbe piacere a chiunque.
G: Il problema logistico qui è che si era detto a monte con il teatro che lo spettacolo sarebbe stato messo in abbonamento, cosa che poi non è avvenuta. Questo è stato un deficit, perché in realtà avrebbe consentito di coinvolgere più gente a teatro. Siamo state inserite nel flyer, ma a mio avviso è stato gestito in maniera un po' particolare. Comunque è stato un esperimento.
A: Una delle difficoltà per chi organizza spettacoli è sempre quella di riuscire a coinvolgere il pubblico.
F: Infatti a Venezia andiamo tramite uno sponsor locale che è una scuola di danza, che coinvolgerà altre realtà della zona e lì siamo sicure di lavorare su altri numeri.
S: Però effettivamente le percentuali sono sempre più alte tra gli addetti ai lavori che non tra il pubblico cosiddetto "normale", cioè il pubblico che vedrebbe anche uno spettacolo di cabaret, ad esempio. Uno degli obiettivi è quello di riuscire a coinvolgere anche chi non c'entra assolutamente nulla, che è la cosa più difficile.
G: Infatti alla data di Milano c'erano tantissime persone. Gente di tutti i tipi che ha assistito a una performance artistica che è piaciuta.
S: Io ho lavorato con la Amaia Dance company di Manca Pavli un paio d'anni fa e ho imparato tantissimo. Ovviamente ci ho lavorato come ballerina e le coreografie erano tutte di Manca, ed è stata un'esperienza fantastica che mi ha insegnato tanto su come gestire il palco da dietro le quinte, anche su come gestire la compagnia. È stata un'esperienza estremamente formante, quindi spesso quando penso a Desertika ripenso a tante cose che ho vissuto con Manca. Quello è il mio personale riferimento proprio perché ci ho lavorato.
A: A proposito, da dove viene il titolo "Desertika"? Ha un significato particolare?
G: È un nome nato per caso, ma con l'aggiunta del suffisso "ika" abbiamo voluto dare una connotazione più urbana, più moderna.
S: E che indicasse anche una radice legata al Medioriente, perché alla fine la danza del ventre è la danza del deserto. Il titolo completo sarebbe Desertika Belly Dance Project. E il sottotitolo "La tradizione in evoluzione"
A: Mi sono chiesta se nella creazione dello spettacolo abbiate pensato a costruire una storia o un canovaccio (come spesso avviene in altri spettacoli di danza), oppure a riferivi a a un personaggio o un filo conduttore che legasse tra loro i brani, al di là ovviamente delle musiche. Cosa che sembra non esserci, dico bene?
G: Credo che abbiamo voluto dare più importanza alla coreografia. Ovviamente avrebbe comportato anche altro lavoro in più.
F: Forse sarebbe stato un po' vincolante, mentre così è uno spettacolo più libero dal punto di vista dei brani e delle coreografie.
S: È stato un modo per non darsi freni. In realtà ci si potrebbe declinare benissimo qualsiasi tema, però in questo caso non ci è sembrato necessario. Quindi è una scelta voluta. Poi nel periodo in cui è nato c'erano altri spettacoli analoghi in giro (es. Alice) con un tema preciso, ma a noi personalmente non interessava seguire quella corrente. Poi non è detto che magari in un futuro non si possa fare.
A: Ultima domanda. I due estremi: la sfida più grande e la soddisfazione più grande?
F: La soddisfazione più grande dal punto di vista logistico è il fatto che nello spettacolo di Milano ci abbiamo guadagnato qualcosa e l'abbiamo reinvestito. È stato bello avere qualcosa da reinvestire.
S: Dal mio punto di vista la sfida più grande, come dicevamo prima, è sempre quella di portare la danza del ventre fuori dal circuito degli addetti ai lavori. È una sfida che secondo me al momento stiamo perdendo, quindi c'è ancora da lavorare. La soddisfazione più grande è sempre quella di essere su un palco. Il sogno di ogni ballerina non è di arrivare a ballare al ristorante, lo fai perché ci devi lavorare, ci devi guadagnare, ma l'obiettivo è di arrivare in un teatro. Ogni volta che si sale su un teatro per me è una cosa pazzesca.
G: La sfida è quella di creare uno spettacolo del genere e mettere insieme più persone, anche provenienti da percorsi diversi. Ad esempio le ragazze della mia compagnia non sono mie allieve ma ognuna ha un proprio percorso alle spalle. Farle lavorare assieme per tanto tempo. Per la prima di Milano le singole compagnie hanno provato ogni singolo week-end per un anno. Poi è stata un sfida portarle in un'altra città dove non si hanno particolari connessioni.
A: Grazie mille e in bocca al lupo per le prossime date!
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Riflessione finale... e un paio di domandine un po' scomode!
Forte l'intervista, vero? A parte la gentilezza e disponibilità di Giulia, Silviah e Federica (che ringrazio nuovamente... per inciso hanno parlato con me dopo aver ballato quasi 2 ore ininterrotte!), secondo me contiene ottimi spunti per aprire un bel discorso sul tema: Danza orientale, Arte con la A maiuscola sì o no? E se sì, come fare perché sia riconosciuta come tale anche al di fuori della cerchia comunque limitata delle praticanti e dei loro amici?
Va beh, l'articolo è venuto troppo lungo e probabilmente è il caso di rinviare le riflessioni a un altro post. Un punto però vale la pena sottolineare subito :-)
Riallacciandomi a quello che mi ha raccontato Silviah sulla sua esperienza in ambito teatrale, penso chi vuole dedicarsi alla performance in maniera professionale debba necessariamente conoscere le dinamiche vere del lavoro teatrale.
Avere consapevolezza dell'importanza di una serie di questioni tecniche, logistiche, artistiche e promozionali legate alla produzione artistica che molti professionisti di altre discipline (musica, danza moderna, drammaturgia ecc.) conoscono bene, ma che spesso le danzatrici del ventre ignorano o sottovalutano.
E quindi mi/ti domando:
1) Quanto allenamento occorre per danzare su un palco in maniera impeccabile? 2) Quanta umiltà ci vuole per (ri)mettersi in discussione e imparare a dare vero spessore a questa danza, evitando di ripetere sempre gli stessi, rassicuranti schemi?Ciao alla prossima!
P.S. 2 more pics....