La disciplina analitica della geopolitica è la Kate Moss delle relazioni internazionali: una vecchia idea che continua a essere in voga, non perde mai del tutto la sua strana bellezza maliziosa, può essere applicata a qualsiasi cosa, ha un soffio eccitante di illecito e pericoloso, e il suo nome è subito riconosciuto in tutto il mondo. Le persone o l’amano o l’odiano. Ma a tutti piace guardarla e riguardarla ancora. I critici vedono la visione geopolitica del mondo come deterministica e ignara dell’uomo come primo plasmatore della società e della storia. Gli aficionados spiegano che i modelli di comportamento a lungo termine dei popoli, delle società, e delle nazioni non possono essere compresi senza uno sguardo alla mappa e una adeguata comprensione degli ambienti fisici che modellano l’interazione umana.
Il concetto intellettuale di geopolitica ha avuto origine in Europa, ed è qui che è più impopolare al giorno d’oggi. Esso infatti sa di quell’orribile realismo che molti europei trovano così difficile da abbracciare. Ed è troppo inquietante un promemoria sul fatto che la storia non è finita e che lo stato attuale di pace potrebbe non durare per sempre. Mentre la crisi economica e fiscale infiamma il dibattito sul futuro dell’Europa, le proiezioni di lungo termine sul futuro sono diventate di moda nelle capitali europee. Nella maggior parte degli scenari prevale però l’analisi economica mentre si presta scarsissima attenzione ai fattori base che un analista geopolitico avrebbe messo al centro della scena. Questa è una ragione sufficiente per dare uno sguardo più da vicino a quello che Robert Kaplan – giornalista, frontman di Stratfor e sommo pontefice della geopolitica contemporanea – ha da dire sull’Europa nel suo libro tanto discusso The Revenge of Geography.
Il libro, in parte (eccellente) manuale di base sulla disciplina della geopolitica, in parte pronosticante tour d’horizon delle regioni geopolitiche più rilevanti del mondo, dedica solo 20 pagine (incluse le quattro di mappe) al vecchio mondo. In mezzo a molto materiale familiare, esse offrono alcune osservazioni pertinenti ed intelligenti sulla storia europea. Lo sguardo al futuro di Kaplan identifica tre fattori decisivi per lo sviluppo dell’Europa.
Il primo è lo slittamento di potere nel processo d’integrazione dell’UE dall’attualmente dominante “Europa Carolingia” alla Germania, nuovo motore d’Europa. In secondo luogo viene la domanda se la Germania, di concerto con i suoi vicini più piccoli dell’Europa Centrale, assumerà una posizione decisa contro la Russia e recupererà la sua tradizionale tendenza ad utilizzare la Mitteleuropa come zona cuscinetto contro l’Occidente. La terza questione è se la Grecia, data la sua posizione strategica inestimabile, rimarrà saldamente nel campo occidentale e non a fianco della Russia a cui è legata da una tradizione religiosa e culturale.
Come spesso accade con la geopolitica, quest’analisi contiene verità quanto basta per essere interessante, ma non abbastanza sostanza da essere realmente rilevante. Il capitolo Europa contiene molte generalizzazioni splendidamente radicali con cui è difficile essere in disaccordo, ma lascia il lettore assai insoddisfatto della sostanza vera e propria,. A ben guardare, molti degli argomenti su cui Kaplan costruisce la descrizione dimodelli di sviluppo storico sono eclettici. Egli allinea fatti e truismi per creare un malinconico senso di fatalità politica. Ecco un esempio tipico dal capitolo sull’Europa di Kaplan:
La Grecia, più di tutti gli altri luoghi, fornirà un indicatore profondo della salute del progetto europeo. La Grecia è l’unica parte dei Balcani accessibile da vari litorali, ed è quindi l’unificatrice di due mondi europei. La Grecia è geograficamente equidistante da Bruxelles e Mosca, ed è tanto culturalmente vicina a Mosca quanto lo è all’Europa in virtù del suo cristianesimo ortodosso orientale, a sua volta una eredità di Bisanzio. […] La Grecia, ritornando all’antichità, è dove l’Europa – e per deduzione l’Occidente – inizia e finisce. La guerra tra Grecia e Persia, che Erodoto ha raccontato, ha istituito una “dicotomia” dell’Occidente contro l’Oriente che persiste da millenni. […] La Grecia, come scrive Mackinder, si trova appena fuori il cuore dell’Eurasia ed è quindi accessibile alla potenza marittima. Ma il possesso della Grecia in qualche modo da parte di una potenza centrale (vale a dire la Russia) ‘potrebbe probabilmente portare con sé il controllo dell’Isola Mondo’.
Si tratta di una così raffinata combinazione di luoghi comuni, semplificazioni, affermazioni non dimostrate, gergo della teoria delle Relazioni Internazionali e insinuazione storica che alfine si legge con discreta grazia pur senza mai rivelare totalmente quello che dovrebbe comprovare. Contrariamente all’ovvia intenzione dell’autore, ciò non prova che il destino della Grecia sia una questione geopolitica di vita o di morte per l’Europa. Forse ciò può essere dimostrato in qualche modo, ma non in quello scelto da Kaplan.
Sul ruolo chiave della Germania nel futuro dell’Europa Kaplan ha ovviamente ragione. Il suo istinto lo orienta nella giusta direzione quando scrive: «un fattore critico […] sarà il grado in cui il quasi-pacifismo europeo, e in particolare tedesco, resisterà in futuro». Ma Kaplan applica queste intuizioni soprattutto riguardo alla rinascita del potenziale antagonismo con la Russia, e non al ruolo più ampio dell’Europa come attore strategico nel mondo. E questo è un quesito molto più importante per le società del vecchio mondo, pienamente globalizzate e dedite al commercio internazionale.
Per di più, Kaplan non dice che a causa delle tendenze demografiche, l’elevata posizione di potere della Germania in Europa potrebbe in realtà essere di breve durata. Secondo alcune proiezioni, in un futuro non molto lontano, sia la Gran Bretagna che la Francia supereranno la popolazione della Germania. In fine, nell’intera analisi geopolitica dell’Europa, Kaplan non fa alcuna menzione degli Stati Uniti. Certo, gli USA non sono una potenza europea in senso geografico, ma lo sono senz’altro in senso economico, politico e militare. È curioso che l’interesse degli Stati Uniti per un ambiente sicuro e stabile in Europa (una quintessenza del concetto geopolitico) non sia menzionato nemmeno una volta. Qualsiasi analisi geopolitica d’Europa che non apprezzi il forte ruolo degli Stati Uniti potrebbe perdere alcuni punti decisivi. Inoltre, il dibattito se gli europei siano davvero così pacifisti come Kaplan ci vuole far credere è ancora aperto. La storia europea a partire dal 1945 può essere interpretata in maniera molto diversa.
Il libro di Kaplan è un fenomeno dalla doppia faccia. I suoi capitoli introduttivi fanno una splendido e ben fondata argomentazione della geopolitica come rilevante (e intellettualmente meraviglioso) quadro analitico per lo studio degli affari internazionali. Ma applicando questa struttura ai casi concreti, il libro di Kaplan non risulta all’altezza di quanto si prefigge di fare. Nessuno dei suoi casi di studio è veramente convincente. La maggior parte di essi, come ad esempio il capitolo sulla Russia terribilmente ispirato ai cliché, sono ancora meno convincenti di quanto scrive riguardo l’Europa. È un peccato che Kaplan stesso, nella seconda metà del suo libro, mini il sistema che egli stesso ha così abilmente introdotto all’inizio. Un’analisi geopolitica veramente utile dell’Europa dell’inizio XXI secolo rimane dunque ancora da scrivere. Nei primi capitoli del suo libro, Kaplan dimostra che si può fare. Vi è un urgente bisogno di essa, se non altro per risanare finalmente la reputazione della geopolitica come uno strumento credibile di analisi nel dibattito della politica estera europea.
(Traduzione dall’inglese di Romina Gurashi)