Come (non) scrivere un reportage

Creato il 19 settembre 2014 da Ireneferri

Ogni tanto (non spesso, lo confesso) mi capita di guardare qualche telegiornale italiano. E di imbattermi in qualche sedicente reportage su questo o quel fatto di cronaca, Di solito, le mie fonti di notizie sono internazionali. Guardo poco le realtà nostrane, per motivi che riguardano anche questo post.

I telegiornali italiani, sono molto … (come dire, aspetta che cerco un termine soft) colorati, drammatici, esagerati. Hanno tendenzialmente una comunicazione da “scoop”, quindi basata su “Uh, ma pensa questa (Belen, di solito) che ha fatto, pensa quell’altro che ha detto“. Evitano accuratamente di parlare delle reali situazioni e di informare il popolo sul perchè e sul percome di un fatto storicamente attuale.

Mi sono quindi presa un angolo di creatività per costruire un reportage secondo il modello utilizzato da questi comunicatori. Poi dimmi che effetto ti fa.

Immaginiamo

che il direttore prenda il primo redattore a tiro e gli dica bruscamente: “Costruiscimi un reportage che parli di qualche personaggio famoso (e sempre Belen la fa da padrone, di solito), qui bisogna fare i numeri, all’opera, su!”

Il malcapitato redattore si guarda intorno, osserva il suo pc e la povera piantina sofferente di scarsità di acqua e di aria che pende tristemente dalla scrivania, col vuoto pneumatico nel cervello. Poi, improvvisamente, ecco l’illuminazione: ci sono i social! Sui social si trovano i fatti di tutti aggratis.

Apriamo Instagram? Ottimo, ho tutto quello che mi serve: amore, azione, sentimento, pensieri di lei e di lui. E così, tra un codice embedded, cuoricini e foto di piedi al tramonto, il servizio viene da sè.

Proviamo a costruire un reportage facendo insieme un po’ di storytelling e un po’ di marketing fuffo.

Reportage: ricostruzione farlocca a partire da un filo logico inesistente

“Crisi d’identità in casa Renzulli (e intanto scorrono le immagini di Instagram) [da leggere in tono drammatico]

Sarà un momento nero, sarà la crisi che arriva inevitabilmente quando sei all’apice del successo. Allora pensieri cupi ti piombano addosso, pensieri che non sai gestire. Un momento di smarrimento o una vera e propria crisi di identità?

 

E’ forse finito il momento in cui la vita si apriva come uno scorcio sul futuro. Quella vita sognata, traguardi raggiunti, sembri avere tutto. Il mondo è nelle tue mani. Quando tutto ti sorride, guardi avanti e vedi solo cieli aperti.

Forse è un attimo di debolezza, forse lo smarrimento del perdersi. E’ un attimo, precipitare nel vuoto e attaccarsi a sollievi effimeri, forse per dimenticare quei giorni in cui la vita era creta nelle tue mani.

Un grido di aiuto disperato quelle parole scritte su un muro o l’amara confessione di un vuoto interiore? Nessuno potrà dirlo.

E mentre la verità rimane nascosta e inconoscibile, rimane il ricordo di quei giorni felici, quando eri “qualcuno”agli occhi del mondo, quando i giorni ti sorridevano. Giorni spezzati, inevitabilmente, che non torneranno più. E che sono già un lontano, sbiadito ricordo.

Scrivere un reportage richiede verità, non fantasia

Il reportage è un tipo di servizio giornalistico, che tratta di un fatto specifico. Wikipedia dice “Un reportage prevede un’analisi attenta e strutturale di un argomento legato all’attualità.”.

Un’analisi del tipo che ho scimmiottato sopra è pura invenzione. Sono sicura che anche a te è capitato – e capita tuttora – di vedere chili di questa fuffa sparsi qua e là. Spacciati per informazione fighissima.

Scrivere un reportage vero richiede:

  • capacità di scrittura
  • studio (di anni)
  • motivazione
  • pratica
  • amore della verità
  • voglia di raccontare storie vere

Questo modo di fare giornalismo è una vera e propria bambanata e non dovrebbe avere la possibilità di stare su un media in orari ad altissima visibilità. Perchè contribuisce a creare falsa informazione e sottocultura.

Cosa ne pensi? Lasciami la tua opinione nei commenti. 


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