Come ogni anno “Report Sans Frontiers”, l’organizzazione ...
Creato il 18 febbraio 2014 da Lostilelibero
Come
ogni anno “Report Sans Frontiers”, l’organizzazione
non governativa che agisce, tra le altre cose, anche in difesa della libertà
d’informazione, ha stilato la classifica dei Paesi con il maggiore, o minore,
grado di libertà di stampa. Da quel rapporto risulta che la libertà di stampa in
Italia migliora di 9 punti (ora ci piazziamo al 49° posto) rispetto la
precedente rilevazione dell’anno scorso. In Europa, come era logico sospettare
dalla crescente voglia d’eutanasia, il trio di testa è stabilmente formato da
Paesi del nord: Finlandia, Paesi Bassi e Norvegia.
Eppure
la disamina della ONG, oltre a manifestare, ancora una volta, l’impossibilità di
applicare l’astratta logica razionale a ciò che vive, apre, suo malgrado, a
tematiche che rimarrebbero altrimenti disattese, coperte anch’esse dalla stessa
coltre che vorrebbe invece rivelarle: l’informazione
libera.
Una
classifica, diciamola tutta, che lascia il tempo che trova: chi misura
l’inclinazione alla curvatura del giornalista baciapile? RSF computa
scientificamente anche i legittimi interessi di Confindustria, dei de Benedetti
o dei Berlusconi di turno (l'ultimo "scherzo" telefonico a Barca la dice lunga…),
oppure, in questo gioco di contrappesi dovremo credere anche noi alla favola del
buon filantropo engagé
?
Misurare la libertà d’informazione, almeno in occidente, non ha senso, nella
misura in cui non è passibile di misurazione la collusione coi poteri forti che,
barbicati come metastasi al sistema di potere, potrebbero influenzare
l’informazione a loro vantaggio senza lasciare dati certi su cui fondare ogni
qualsivoglia attività analitica.
Avrebbe
invece un senso, e tutto sommato pure una valenza para-pedagogica, stimare il
grado di assuefazione alle notizie dei cittadini, vagliarne il livello di
abitudine, quello che non permette più loro nemmeno l’indignazione: intorpiditi
mortalmente dalla familiarità che culla lo spirito critico nell’indifferenza,
quella rassicurante che rende infine omogenea ogni notizia. Erasmo da Rotterdam,
benché in tempi non sospetti, già sapeva che l’abitudine ottunde e livella, normalizzando ogni cosa per renderla infine accettabile, che non fa più paura:
“non vi è nulla di così assurdo che
l’abitudine non renda accettabile”. L’abitudine all'ovvietà ipertrofica dell’informazione ha così sortito un risultato opposto all’originale proposito di fornire un potentissimo strumento per l'autodeterminazione e l'autonomia dell'individuo: liberatosi dalle superstizioni e dai cliché, dalle influenze e dagl’irrevocabili ipse dixit, quella libertà ha finito ancora una volta,
rivelando per contrasto la paura di restare senza riferimenti cardinali a cui riferire il proprio giudizio, per trasformarsi in una virtus dormitiva, ulteriore modalità per
creare artificialmente confusione riducendo ogni cosa all’informe,
all’equivalente, all’indifferente (ne è un esempio lampante anche l’abitudine consolidata dai telegiornali
che fanno tendenza, quella di passare distrattamente dalla cronaca nera alle soubrette
senza apparente stacco narrativo). Sarebbe oggi forse più “serio” fare uno
sforzo ulteriore per soppesare invece i danni causati da quel surplus di libertà
d’informazione, o almeno dall’uso sedativo di cui l'uomo ha preferito farne.
Ormai, bombardati da un interminabile ed isterico pulviscolo di chocs d’informazioni e di input
sconclusionati, non ci scandalizziamo più di nulla. Niente fa più notizia! Ne
abbiamo già viste troppe e ciononostante sembra, paradossalmente, che non se ne
sia compresa nessuna. Anche l’uomo informato contemporaneo soffre di “moderno”,
per dirla con Nietzsche: “oggi gli uomini
vivono troppe cose (…) hanno insieme fame e colica, e perciò diventano sempre
più magri per quanto mangino”. Come la democrazia che facilita l'informazione nella libertà, anche l'uomo contemporaneo è incapace di pensare per gerarchie e ordini, ché essendogli tutto uguale non è più in grado di comprendere le differenze sostanziali tra ciò che è essenziale e quel che invece non lo è.
L’informazione
democratica dunque riempie ma non spiega, al pari della democrazia odierna sua vicina
parente, fa scegliere ma non agire.
Una
libertà d’informazione imposta più che voluta: all’inciuchito fruitore di
cronache fresche, necessitando dell’informazione in modo tale da ubriacarsene per distogliere così lo sguardo dalle proprie vitali preoccupazioni, manca il tempo
necessario e l’esercizio per l’assimilazione... il popolo bue ha smesso anche di ruminare. L’informazione globale sembra essere quindi solo l’ennesimo nuovo
“de-vertimento” posto a tutela di quella narcolessia
che oggi passa blandamente sotto il nome di joie de vivre. Avendo intuito che pensare
rovina l’appetito e che anche l’informazione implica prima una formazione,
abbiamo deciso di aumentare esponenzialmente la quantità d’informazioni così da
esserne storditi. Sappiamo tutto e ciononostante non vogliamo capire nulla per
conservarci il buonumore: il nuovo dogma postmoderno dell’informazione
democratica!
Potrebbero interessarti anche :