"Gli uomini che non sanno fare l'amore, fanno la guerra!" Atiq Rahimi è uno scrittore e regista afghano in asilo politico in Francia dal 1984. Solo la sofferenza di chi non può baciare la sua terra genera dei capolavori come questo. 100 minuti che t'inchiodano, eppure l'intero narrato si svolge tra quattro mura decadenti; una donna afghana parla con il marito in coma, colpito da una pallottola al collo, quindi inerme, immobile, la soluzione giusta affinchè lei possa raccontargli tutti i suoi segreti più intimi senza che venga uccisa. Un lunghissimo monologo. uterino, femminile, passionale, erotico. Bellissimo. "Oggi ci saranno i bombardamenti, rimanete in casa". In zona afghana, nei pressi di Kabul, si parla della guerra come di un evento atmosferico, come se piovesse. Tutto è di elevatissimo livello, soprattutto la fotografia: nature morte di rara bellezza (come il fagotto di melograni che il soldato innamorato regala alla donna). E che donna. Ineccepibile la protagonista Golshifteh Farahani, occhi e sguardi che non dimentichi, confessioni le sue a cui ogni donna si sentirebbe vicina. Condivisibile ogni sua parola o gesto. Anche quello estremo della fine. Che le libera uno dei sorrisi più belli mai visti in tutta la storia del cinema. La donna non ha volutamente un nome, la sua storia è quella di tante donne afghane, sposate con un mujaeddhin e trattate come serve ed estranee, ma dietro le quali si nasconde un'anima pulsante, carnale. Riscoprirsi donna e cominciare quella salita che conduce verso la propria felicità .Al culmine del suo percorso di conoscenza la protagonista si scopre addirittura profeta, identificandosi con Khadija, la moglie di Maometto. Nessuna nomination al film. Questo lascia molto perplessi.
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