Come può qualsiasi cosa “finire”?

Creato il 01 settembre 2011 da Andreapomella

“Chi, oltre la Woolf, ha scritto romanzi con gli occhi della morte, con gli occhi di chi sente già conclusa la sua parabola storica, ed è già idealmente uscito dalla vita, e si trova in un suo interregno e può per questo guardare alla vita con l’amore, la soffocata pietà ma anche la distanza, la lucidità tagliente, la disincantata intelligenza di chi alla vita non appartiene più?”. Questa è una domanda che mi è stata posta ieri e che contiene almeno due spunti interessanti. Il primo: davvero riesce a scrivere così, ossia con “soffocata pietà” e “lucidità tagliente”, solamente chi ha estinto l’anima ancor prima del corpo fisico? La seconda: è corretto ridurre la letteratura solamente a questo compito supremo di manifestare la verità profonda del vivere? Ieri sera, prima di cena, rileggevo alcuni passaggi tratti da Angeli di desolazione di Jack Kerouac, un autore che amo visceralmente. C’è una frase, a un certo punto, che pronuncia il Jack Duluoz narrante, l’avvistatore di incendi che in nove settimane di solitudine cerca la verità dell’essere sulla cima della Desolation Peak, e che fa:“Come può qualsiasi cosa finire?”. Ecco, Kerouac non accettò mai che le cose finissero, troppo amore per la vita, troppo struggimento, troppa frenesia. È una vitalità, la sua, tutta americana, che non conosceva e non poteva conoscere, al contrario, un’autrice come la Woolf, perfetto prodotto della civiltà culturale europea. Così come non la poteva conoscere Céline, altro autore che mi viene in mente quando si parla della “disincantata intelligenza di chi alla vita non appartiene più”, uno che scrisse: “La vita è questo, una scheggia di luce che finisce nella notte”. Ecco, io penso che la grande letteratura del mondo abbia più volte toccato quel nocciolo fumante che sta lontano dalle distrazioni che servono all’uomo per vivere. E penso anche che ogni autore, per scrivere anche la più banale delle pagine letterarie, debba in qualche modo prendere distanza dalla vita, non appartenerle più, che sia per un’ora, per un pomeriggio, o che sia per sempre.


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