Sullla scia dei dibattiti dopo il Salone del Libro di Torino, Gazzetta di Torino ha pubblicato una mia riflessione su come si possa misurare il sucessso di un evento. L’articolo originale si trova qui.
I commenti a chiusura del Salone del Libro di Torinosuggeriscono alcune riflessioni generali, non tanto sul Salone in sé, ma sugli eventi in sé.
Il dibattito, ben riassunto da Paola Ferrero, ci mostra che ci sono in sostanza due fazioni: gli organizzatori soddisfatti e alcuni visitatori insoddisfatti o per lo meno critici. Per tirare acqua al proprio mulino si citano i numeri dell’affluenza, delle vendite dei libri, degli interventi, della presenza di editori e così via. Un dibattito vivace che può essere, auspica Paola Ferrero, una buona base per miglioramenti futuri.
Verrebbe da dire che se c’è stato un successo è certamente quello che ha animato la discussione, un’occasione, in realtà per parlare di libri, di cultura e di diffusione della stessa nel nostro paese.
Per rimanere però sul piano asciutto degli eventi, vale la pena chiedersi: come si misura per davvero il successo?
La strada più immediata, quella che in genere riscuote titoli d’effetto, riguarda i numeri.
Quanti spettatori sono stati presenti, quanti biglietti sono stati venduti, e nel caso di eventi di altro genere, quanti pasti sono stati preparati, quanti VIP erano invitati, quanti volontari arruolati, quanti pernottamenti registrati, quanti atleti in campo e così via. Si dice una cifra e si pensa di poterne affermare successi o fallimenti.
Limitare ai numeri le valutazioni può portare però ad analisi poco pertinenti con il risultato reale.
La domanda da porsi allora è: come si misura il risultato?
La risposta non è facile, perché non si tratta di una produzione di scatole e dunque più scatole prodotte, più siamo certi di avere successo. La scatola evento non è semplicemente, o non è solo, quantificabile.
Una delle frequenti obiezioni ai troppi festival culturali nel nostro paese, riguarda proprio questo punto: anche se le piazze sono piene di persone interessate ad ascoltare filosofi o scrittori, aumentano le vendite di libri? E come facciamo a capire se un eventuale aumento (che ahimè pare non ci sia) sia legato al festival?
O ancora: non è che questi festival siano solo palcoscenici per case editrici o star della cultura? La stessa domanda, in fondo, aleggia intorno al Salone del Libro: è solo business o è cultura? Cioè: è una fiera o un evento culturale? O forse entrambi?
Rispondere a queste domande non ci dirà se l’evento è stato o meno di successo. E questo per un semplice motivo: non conosciamo gli obiettivi posti all’inizio.
Se non conosciamo il piano strategico di un dato evento non siamo in grado di giudicarne il successo, che in breve vuol dire: raggiungimento degli obiettivi posti.
Se un festival culturale in una qualsiasi città italiana si pone come scopo la promozione turistica del territorio e semplicemente usa il contenuto “cultura” come strumento di promozione (ma potrebbe usare anche lo sport o il rock o l’artigianato,) e non come scopo ed effettivamente riempie gli alberghi e i ristoranti e registra una crescita di presenze turistiche anche in periodi extra evento, allora, si: il successo c’è stato.
Se invece lo scopo è la crescita nella vendita di libri e questa non accade, allora l’obiettivo non è stato raggiunto e dunque il festival ha fallito.
Se infine, lo scopo è sempre la crescita di vendita di libri, ma non si ha modo di verificare se questo avvenga, perché ad esempio non si è pianificata l’analisi con le case editrici interessate, allora, ancora peggio, l’obiettivo era mal posto.
Prima ancora di chiedersi se le cose sono andate bene, sarebbe dunque più ragionevole chiedersi dove si voleva arrivare. È un po’ come nel jogging. Per taluni lo scopo è macinare chilometri, per altri macinare minuti. L’arrivo alla meta dipende solo dalle intenzioni iniziali.