Come ti misuro la gravità stellare

Creato il 01 gennaio 2016 da Media Inaf

Un gruppo internazione di ricercatori, guidati da Thomas Kallinger dell’Università di Vienna, ha trovato un nuovo metodo per misurare la forza di gravità sulla superficie di una stella. Questa tecnica rappresenta uno strumento di vitale importanza specialmente per quei sistemi planetari distanti perchè potrebbe fornire preziosi indizi nel determinare l’eventuale presenza di forme di vita aliena sugli esopianeti. I risultati sono riportati su Science Advances.

Conoscere la gravità superficiale di un corpo celeste come una stella è un po’ come sapere quale sarebbe il nostro peso se ci trovassimo sulla sua superficie. Se le stelle avessero una superficie solida su cui potremmo idealmente esistere, allora il nostro peso cambierebbe da oggetto a oggetto. Sappiamo che il Sole è molto più caldo di una sauna ma certamente non perderemmo del peso se ci trovassimo sulla sua superficie. Infatti, se disponessimo di una sorta di bilancia solare, vedremmo che lancetta del nostro peso segnerebbe un valore 20 volte maggiore di quello terrestre. Nel caso estremo di una gigante rossa, l’evoluzione futura che subirà il Sole, la gravità superficiale è molto più debole perciò il nostro peso risulterebbe 50 volte più leggero di quello terrestre.

Il nuovo metodo proposto dagli autori del presente studio permette agli scienziati di misurare la gravità superficiale nel caso di stelle molto distanti e deboli e con una accuratezza pari a circa il 4 percento rispetto a quella ottenuta con le attuali tecniche. Dato che la gravità superficiale dipende dalla massa e dal raggio dell’oggetto, così come il nostro peso dipende dalla massa e dal raggio della Terra, questa tecnica permetterà agli astronomi di definire meglio la massa e la dimensione delle stelle più distanti. Non solo, ma gli astronomi potranno studiare numerosi esopianeti appartenenti a questi sistemi stellari remoti le cui proprietà non possono essere misurate accuratamente.

«Se non sappiamo nulla della stella, non sapremo altrettanto nulla del suo pianeta», dice Jaymie Matthews dell’Università del British Columbia e co-autore dello studio. «Le dimensioni di un pianeta sono ricavate relativamente alle dimensioni della sua stella ospite. Se troviamo un esopianeta che orbita attorno ad una stella che riteniamo sia di tipo solare ma che in realtà è una gigante, potremmo essere ingannati dal fatto di pensare di aver trovato un mondo alieno abitabile delle dimensioni della Terra. Il punto di forza del nostro approccio ci permette di determinare quanto grande e luminosa risulta una stella e se un eventuale pianeta che le orbita attorno ha le giuste dimensioni e temperatura tali da ospitare oceani ed eventualmente forme di vita».

Questo metodo, chiamato funzione di autocorrelazione temporale, o tecnica del tempo-scala in breve, utilizza le minuscole variazioni di luminosità di stelle distanti che vengono rivelate dai satelliti quali MOST e Kepler. L’obiettivo delle future missioni spaziali sarà quello di cercare pianeti potenzialmente abitabili che si trovano cioè nella cosiddetta zona abitabile, quella regione ideale dello spazio dove non fa troppo freddo o troppo caldo e dove l’acqua potrebbe esistere allo stato liquido sulla superficie del pianeta. Inoltre, i futuri programmi scientifici dovranno prendere in considerazione tutte le migliori informazioni possibili sulle stelle obiettivi della ricerca, in modo da caratterizzare adeguatamente le proprietà degli eventuali esopianeti.

«La nostra tecnica rappresenta uno strumento semplice ma allo stesso tempo potente», conclude Kallinger. «Essa potrà essere applicata ai dati che saranno raccolti dalle prossime osservazioni. Lo scopo sarà quello di comprendere ancora meglio la natura di stelle simili al Sole in modo da identificare quei pianeti che hanno le caratteristiche della Terra».


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Fonte: Media INAF | Scritto da Corrado Ruscica