“Entro la prossima settimana”, a parte il linguaggio poco formale – da piccola bottega, direi – racchiude in sé la prova provata di quanto, questa nobile decaduta, sia oramai alla frutta. Sembra di rivivere le pietose scene che erano costretti a vivere i manovali edili o i braccianti agricoli agli inizi del secolo scorso. Quei poco tutelati lavoratori, passando a fine settimana a riscuotere il magro salario, si sentivano spesso rispondere dal dispotico padrone: “Ripassa un altro giorno, oggi non ho soldi per pagarti”. E così, a testa china, i nostri avi se ne ritornavano a casa cornuti e mazziati, con la schiena rotta da un lavoro massacrante e con la vergogna di non poter assicurare alla propria famiglia il frutto della loro onesta fatica.
Questa descrizione del fenomeno potrebbe apparire la solita iperbole dello scribacchino della domenica, quale sono. Qualcuno, e forse a ragione, potrebbe controbattere che i milioni di precari e disoccupati italiani vorrebbero tanto avere di questi problemi. In fondo, il ritardo di una settimana non è poi la fine del mondo. Anzi, qualche fedele servitore potrebbe tessere le lodi di chi, nonostante le difficoltà, riesce comunque a garantire che le retribuzioni vengano pagate. Insomma, molto pragmaticamente si potrebbe concludere dicendo: meglio tardi che mai. Se dovesse rimanere in queste dimensioni anche nel futuro, questo ritardo (oramai cronico, peraltro) potrebbe anche essere ob torto collo essere accettato. Salvaguardando, magari, i casi di assoluta e dimostrabile necessità per i quali si potrebbe prevedere il ripristino della vecchia prassi dell’anticipo del ritardo dello stipendio, onde permettere loro di far fronte agli impegni improrogabili. Risulta alquanto difficoltoso, infatti, richiedere una proroga per mutui o rate utilizzando il comunicato aziendale quale, anomalo nonché fantasioso, titolo giuridico per sottrarsi a more e sanzioni varie.
Ma a parte questi casi (spero sporadici), la verità è che questa situazione ha dei risvolti simbolici di forte impatto emotivo. Un profondo senso di insicurezza e di incertezza si fa strada nella testa dei lavoratori, che finisce per togliere forza e coesione ad una platea, peraltro, già ampiamente sparpagliata, come avrebbe detto lo stesso Totò. Si instilla, mese dopo mese, nella loro mente già obnubilata da anni di nefandezze, un senso di impotenza strisciante che determina il naturale e consequenziale abbassamento della capacità di resistenza. Si allarga, così, l’arrendevole folla vittima della incapace sciatteria decisionale che, purtroppo, ci circonda. Si cominciano a notare anche ripercussioni di tipo biologico. Si propagano paurosamente forme di abulia perniciosa, aggravate, in qualche caso, da un drastico calo delle difese immunitarie. Si instaura, così, giorno dopo giorno, un clima di rassegnazione al peggio togliendo, ad una categoria storicamente forte e combattiva, ogni volontà di lotta. Anzi, si agevola il primordiale istinto alla sopravvivenza che, purtroppo, si manifesta con squallide manovre improntate ad un individualistico si salvi chi può che finisce per alimentare un Potere che mai come ora è debole. E allora: “Domani ti pago?”. Ma che domani sia davvero… un altro giorno.
Ciro Pastore – Il Signore degli Agnelli
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