come un Ammaniti in acido (ma anche no)...

Creato il 18 aprile 2011 da Omar
Ogni volta che il protagonista di un libro è un ragazzino lo spettro di Niccolò Ammaniti compare sulla soglia a fare ciao-ciao con la manina. Ma lo stilema del racconto fanciullesco ha una tradizione assai più antica della canonizzazione seguita al successo dell'autore romano, una scuola che peraltro annovera tra i suoi esponenti nomi del calibro di Mark Twain, Italo Calvino, Harper Lee e - più recentemente - la pluripremiata scrittrice dell'Alabama Gin Phillips o l'irlandese Roddy Doyle nonché il Lansdale dei romanzi più poetici e ispirati. Giuseppe Merico, classe 1974, salentino adottato da Bologna nella quale lavora come redattore alla rivista Argo, con Io non sono esterno è l'ultimo tra gli autori nostrani a muoversi (agilmente) all'interno di questo prolifico solco (preme qui inoltre segnalare - per pura fibrillazione egoica - che anche il titolare del blog ha un romanzo in fase di chiusura costruito sulla medesima prospettiva adolescenziale). La storia raccontata da Merico verte attorno a un bambino segregato dal padre nella cantina di casa. Nei sotterranei della sua anima il giovane, affetto da una patologia cronica che lo costringe a muoversi coi tutori alle gambe, impara ad amare - e forse a perdonare - il terribile genitore-aguzzino. In un continuo alternarsi di flashback l'autore ci mostra gli eventi che lo hanno condotto alla reclusione attraverso un efficace succedersi di episodi di abuso (sessuale e psicologico), sullo sfondo di un non meglio definito paesino della Puglia governato dalla Sacra Corona Unita. Assistiamo quindi muti allo stravolgimento della esistenza dell'innocente appena quattor- dicenne, che la malvagità degli adulti deruba di qualsiasi illusione: i responsabili diretti della sua rovina sono gli affetti più cari, gente che a sua volta ha perso ogni speranza poiché figlia dell'ignoranza e della più cruda violenza.Il confronto con Ammaniti non rende sicuramente onore all'opera di questo esordiente che invece ha saputo scovare una sua personalissima strada e una sua originale lingua narrativa, e però Merico se l'è un po' cercata: sin dal titolo non si può infatti non scorgervi una forzatura quasi kafkiana del più famoso Io non ho paura, del quale il romanzo finisce giocoforza per essere debitore (la condizione ctonia in cui campa il protagonista è indubbiamente speculare a quella del ragazzo sequestrato di ammanitiana memoria) ma alla cui struttura elementare il narratore pugliese è capace di aggiungere numerose suggestioni oniriche non di rado inconsuete e una visione assai spettrale e sulfurea di un sud ricco di personaggi sghembi, sporchi e terribili, degni di una pellicola di Kusturica. Cose belle del libro: la cupezza di fondo che soffoca ogni cosa. Cose noiose del libro: la cupezza di fondo che soffoca ogni cosa. Consigliato, aspettando il prossimo lavoro con grande curiosità.
Io non sono esterno - Giuseppe Merico (Ed. Castelvecchi)

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