THE PLACE BEYOND THE PINES (Usa 2012)
Non fatevi ingannare dall’orribile e banalissimo titolo italiano (laddove l’originale è la traduzione in inglese del nome della città di Schenectady, dove si svolge la vicenda e che in lingua mohawk significa appunto “luogo al di là delle pianure di pini”): Come un tuono è un film meraviglioso, epico, grandioso, una sorta di tragedia greca narrata con gli stilemi del cinema indipendente americano e al cui centro gravitano i concetti di destino, colpa e redenzione. Diretto dal talentuoso Derek Cianfrance, è la naturale prosecuzione del discorso intrapreso nel precedente Blue Valentine, un discorso fatto di disagio sociale, personaggi ai margini, fallimenti esistenziali e dissoluzione del concetto di famiglia. Rispetto al film del 2010, però, qui l’ambizione è decisamente maggiore, così come il risultato artistico finale: Come un tuono è forse la prima pellicola americana da anni a questa parte a poter (e a voler) competere con i grandi drammi del passato più o meno remoto, sorta di incrocio tra C’era una volta in America, Mystic River, Elia Kazan e John Ford pur non avendo, nei fatti, molto a che spartire con questi nomi e questi titoli, se non nella ricerca di un ampio respiro narrativo e concettuale capace di andare oltre, di farsi metafora.
Non voglio raccontare la vicenda per non rovinare la sorpresa (anzi, le molte sorprese) a quanti ancora non l’hanno visto, ma vi basti sapere che Come un tuono non è un solo film, bensì tre o forse quattro film diversi tenuti insieme da un tragico fil rouge che lega inestricabilmente tra loro i molti protagonisti della storia: un motociclista rapinatore di banche, un poliziotto, le loro donne e i loro figli, i loro colleghi e i loro amici e nemici. Potrebbe essere un film corale, non fosse che le figure dei due protagonisti (il rapinatore e il poliziotto) emergono prepotenti nella loro drammaticità e complessità, né buoni né cattivi come solo i migliori personaggi sanno essere da che cinema è cinema. A interpretarli – magnificamente, peccato solo per il pessimo doppiaggio – i due attori attualmente più in voga di Hollywood, Ryan Gosling (monoespressivo come sempre, ma perfetto per il suo ruolo) e Bradley Cooper (che già nel Lato positivo aveva dimostrato di essere un vero attore e non solo un belloccio con la faccia da schiaffi). Sono rari i film capaci di utilizzare con parsimonia le star che hanno a disposizione, eppure qui, con Gosling protagonista assoluto della prima parte e Cooper della seconda, accade, scelta che conferisce all’opera un’originalità narrativa veramente fuori dal comune. L’ultima parte della pellicola – ambientata 15 anni dopo le vicende precedenti – riesce addirittura a rinunciare quasi interamente a entrambi i protagonisti, optando per una sorta di lungo epilogo in cui a emergere sono le figure dei figli del ladro e del poliziotto. Nell’ultima scena uno dei due, nella migliore tradizione americana, decide di lasciarsi alle spalle i fantasmi del passato e scappare verso Ovest in motocicletta, in cerca di quella libertà che solo la “frontiera” può concedere a chi ha bisogno di una seconda chance. Un quasi happy ending da groppo in gola, esaltato dalla struggente The Wolves di Bon Iver (laddove invece il bellissimo score originale è di un certo Mike Patton e scusate se è poco).
Un film epico, si diceva, il cui unico piccolo limite sta forse nei tempi a sua disposizione: pur durando tantissimo (140 minuti), l’impressione, specialmente nella parte finale, è che tutto accada un po’ troppo in fretta. Forse Come un tuono sarebbe stato materiale perfetto per una miniserie tv di 3 o 4 puntate. In ogni caso i lunghi piani sequenza, l’utilizzo sentimentale del primo piano e alcune scene adrenaliniche (le rapine in banca) o, al contrario, estremamente toccanti (una su tutte: la lacrima del poliziotto che cade in slow motion in direzione dello spettatore: pura poesia) rimarranno a lungo nella memoria e nel cuore di ogni cinefilo.
Alberto Gallo