Ultimamente sono una bloggeressa latitante. Scrivo poco e, onestamente, ho anche poca fantasia per farlo, poca ispirazione, una certa mancanza di idee, di concetti e di tempo.
La verità è che il periodo è positivo, molto positivo praticamente in tutti i settori, ma in un modo che fatico a comprendere a pieno. No, non è corretto. Lo so cosa sta succedendo. Ho semplicemente deciso di prendermi “”quello che mi spetta”", ammesso e non concesso che nella vita qualcosa sia dovuto, ovviamente. Se niente è dovuto, tuttavia, è anche vero che penso sia il momento di tentare di scrollarmi di dosso le paure che ha instillato in me la malattia e, una volta fatto questo, cercare di agire a cuor leggero nonostante la consapevolezza di quel che è stato. E’ ora di lasciare andare quel pensiero strisciante secondo cui mi è stato dato più che abbastanza, che devo stare attenta a puntare troppo in alto perché la mia parte di fortuna l’ho avuta, quell’idea che io riconosco come insensata – ma che sotto sotto covo da anni – secondo cui ci sono “”ambizioni”" (in mancanza di un termine migliore) che non fanno per me, che chiedere altro sarebbe incosciente, che farei meglio a tenere un basso profilo, che è inutile profondere speranze, impegno, coraggio e illusioni in imprese che potrebbero concludersi con il più desolante, mortificante, avvilente nulla di fatto della storia. Quante volte mi sono arrabbiata con ex malati con un’ “anzianità di servizio” superiore alla mia perché dicevano di vedere in me queste titubanze. Era solo l’irritazione di chi non può dare ragione a qualcuno solo perché dovrebbe ammettere una debolezza che non è ancora pronto a vedere. E quindi ringrazio in particolare un paio di persone (tra i pochi maschietti che bazzicano da queste parti, peraltro) perché non hanno avuto remore a dirmi che tutto sommato la corazza non era così credibile.
E’ un periodo di moti di orgoglio e di impennate di sana arroganza. Della consapevolezza che non sta scritto da nessuna parte che i miei piani debbano andare a buon fine, ma che è anche vero il contrario. Dell’idea che devo darmi la possibilità di fallire e farmi male e piantarla di cullarmi nella comodità del non fare nulla che potrebbe andare storto. Della certezza matematica che ci sono cose che solo io posso cambiare e che a volte forzare un po’la mano è l’unico modo per uscirne tutti felici e contenti.
Spero di essere veramente in un periodo votato maggiormente all’azione che all’introspezione. I tempi sono maturi per rannicchiarmi e prepararmi a saltare.
E quindi io sono qui, in silenzio, appesa a testa in giù, come una pupa o una crisalide, a costruirmi un bozzolo di convinzioni e scelte, sperando di uscirne con paio d’ali.