Come Vassilissa

Da Minerva Jones
Periodo strano, di quelli in cui ti ripieghi su te stessa e rifletti su chi sei - a volte sorridendoti, a volte piangendo, a volte sentendo una tremenda solitudine, altre percependo quella solitudine come il tuo felice destino. Accompagnata dalla lettura di Zorba il greco, di Nikos Kazantzakis, conclusa eleggendo tale romanzo a quello più appassionato e vitale che abbia incontrato nella mia esistenza insieme a Tamburo di latta di Günter Grass - l'altro che parimenti celebra la vita libera, senza censure, folle ed estrema, ma ancora con profonda comprensione e compassione verso gli altri esseri viventi.
Forse non è un caso che tutto ciò sia ambientato in Grecia, e che in Grecia abbia scritto a lungo anche il mio autore preferito, Haruki Murakami, sebbene i lavori di quest'ultimo impallidiscano a confronto con Kazantzakis. Il sole che getta una luce accecante, il frinire delle cicale e dei grilli nell'erba secca, il rumore del mare, gli odori che a ogni minima sollecitazione - la pioggia sulla terra, i fiori d'arancio, il profumo di lavanda e di pulito delle donne - si spandono nell'aria e in pagine e pagine di descrizioni d'ambiente che sono un piacere per i sensi.
E penso a me, a come mi vedo, a questa fisicità che mi è così vicina, e a un personaggio che amai molti anni orsono, perché a modo suo dispensava agli altri ciò di cui questi avevano bisogno attraverso il sesso. Senza perversione né squallore. Così drammaticamente alla deriva per un destino che le era caduto addosso, eppure mai domita e ancora capace di sognare. E allo stesso modo penso a quel gesto con cui il soldato più basso in grado, anziché andare a letto con lei, copre col lenzuolo il corpo di Vassilissa - questo il nome della prostituta - e la guarda dormire. Che è poi quello di cui ho bisogno anche io in questo momento. Riposare, prendere tempo, lasciarmi cullare al sicuro da un po' di dolcezza dopo averne data in giro tanta in passato. Con altrettanto sesso. Adesso no. Per un po'.