Che dire di lei? È un’anticonformista, un personaggio che interpreta l’aria di cambiamento della sua epoca e anticipa i tempi… penso sempre che se fosse nata qualche anno dopo e fosse vissuta in città sarebbe stata una leader del movimento femminista! Invece è solo una ragazzina che vive in terra di frontiera, costretta dalla partenza improvvisa della madre a seguire il padre, ufficiale dell’esercito, e i suoi fratelli in un forte. Proprio l’ambiente prettamente maschile in cui si ritrova a vivere la spinge a interrogarsi su quale sia il suo posto nel mondo. Lì in quel forte tutti gli insegnamenti della madre sembrano senza senso, la sua cultura inutile, le buone maniere quanto mai di più lontano da quei rozzi soldati. Lei si sente d’intralcio e comincia a desiderare di essere come i suoi fratelli, indossare i pantaloni, cavalcare libera e poter esprimere le sue idee come fanno loro…
Da lì inizia un doloroso percorso di crescita personale, fatto di ostacoli e scontri, per affermare il diritto di non essere da meno di tutti gli altri uomini, sullo sfondo la Guerra Civile come metafora di una guerra tra congiunti.
Sabrina è una ragazza scontrosa, ferita, si sente abbandonata e affronta le situazioni di petto, con un piglio poco femminile che mal si accorda al carattere dell’epoca che vuole la donna sottomessa, graziosa, pudica e inesperta delle faccende del mondo al di fuori delle mura casalinghe. Il padre cerca di educarla, di renderla adatta alla sua epoca, ma ne riceve in cambio solo astio e risposte sfrontate e questo lo rende ancor più severo peggiorando la situazione. I suo fratelli la criticano ma al contempo si divertono in sua compagnia, la stuzzicano per farle sfoderare i lati peggiori del suo carattere e contemporaneamente la riprendono per i suoi comportamenti sconvenienti… i loro sentimenti ambivalenti nei suoi confronti la confondono e inconsciamente lei si trova a cercare di ottenere la loro approvazione più di quando non cerchi quella dei suoi genitori.
Priva di rimorsi, cieca e sorda nella ricerca spasmodica di ottenere ciò che desidera, finisce per offendere in modo così plateale suo padre da doverne pagare le conseguenze. E qualcosa cambia in lei, il senso di colpa comincia a divorarla in profondità e farle sentire il peso di tutte le sue azioni sconsiderate, si trova a ripercorrere tutte le parole pronunciate per sfida e sentirsi indegna come figlia ma anche fragile e bisognosa dell’affetto della sua famiglia.
La ricerca del compromesso farà di lei una donna adulta, in bilico continuo tra i suoi desideri e le esigenze degli altri, consapevole delle sue potenzialità ma anche della necessità di mediare tra le regole di una società maschilista e il suo bisogno di libertà.
Aveva notato una sua coetanea a Carson City: era vestita come una vera piccola donna e aveva provato invidia. Lei non aveva una madre che potesse occuparsi di quell’aspetto e non avrebbe certo potuto infastidire suo padre con delle sciocchezze simili… ma vedere come si pavoneggiava nel suo abito lungo mentre lei era ancora costretta a portare quegli stupidi vestiti corti con il grembiule le aveva fatto passare la voglia di essere ancora una bambina.
Ci aveva rimuginato per varie notti, ma adesso sentiva che forse un bell’abito non era quello che voleva davvero… come avrebbe potuto starsene seduta così, con le gambe a penzoloni, con addosso uno di quei vestiti e la crinolina? L’unica cosa divertente in quel posto era proprio quella….
Quelle stecche di balena segnavano i confini della piccola prigione che limitava ogni donna e lei non capiva l’ostinato desiderio delle sue simili di strozzarsi lì dentro per avere un vitino da vespa…
“Accetta un consiglio, smettila di affrontare tutto di petto, deve esserci un altro modo per ottenere quello che vuoi… di sicuro non è sfidando nostro padre che otterrai la sua benevolenza.”
“Fino a che non sarò trattata al pari vostro non potrò mai avere un dialogo tranquillo… continuerò a scontrarmi con lui!”
“È questo il punto… tu non sarai mai trattata come Jonathan o me. Tu sei una ragazza… devi arrenderti all’evidenza.”
“Però quando deve usare il suo scudiscio non mi sembra che ci faccia molto caso al fatto che sono una femmina!” rispose con astio, girandosi a fronteggiarlo.
“Sei tu che lo provochi e ti comporti come fossi un ragazzino testardo… cosa ti aspetti in cambio? Pensi di potergli tenere testa, indossare dei pantaloni e ottenere come punizione una ramanzina da catechismo?”
Sabrina sbuffò.
“Smettila e lasciami sola. Non ho bisogno del tuo aiuto.”
“Oh, senti, secondo me tu hai già molto più di qualunque altra donna per bene… volevi venire in città, no? E ci sei venuta. Hai un tetto sulla testa e una famiglia e un nome rispettabile… questa è tutta la libertà che puoi avere, non c’è altro. Altrimenti puoi provare ad andartene, diventare una donna come me e scoprire che non sei più libera di prima…”
Sabrina intuì che le sue motivazioni non erano chiare né plausibili neppure per una donna che viveva infrangendo tutte le regole del pudore che a lei erano state faticosamente inculcate. Quindi aveva deciso di non parlarne più.
Aveva scoperto sulla sua pelle che non bastava volere qualcosa per ottenerlo: la sua arroganza di adolescente era stata ferocemente punita. Prima si sentiva di poter contrastare l’intero esercito confederato, ma le avevano dimostrato che era solo una ragazzina presuntuosa…
Si chiedeva spesso come mai agli uomini fosse permesso di comportarsi in modo così disgustoso, giocare d’azzardo, bere, imprecare, sputare e andare con le prostitute quando a lei che era donna non era concesso niente. Questi pensieri la riempivano di rancore. Lei avrebbe dovuto indossare il busto che la soffocava, crinoline ingombranti e gonne tanto lunghe da non lasciar intravedere se non la punta delle scarpe, doveva tenere gli occhi bassi, parlare compostamente ed educatamente, non contraddire gli uomini, obbedire e portare rispetto… rispetto? Se le altre donne avessero visto com’era la categoria maschile quando era lontana dagli sguardi delle loro mogli e madri altro che rispetto!
Sabrina si girò di scatto e poi, come svuotata dall’impeto iniziale, disse stancamente: “Voi non conoscete mio padre, lui mi ucciderà.”
Il soldato non rispose, tanta era la mestizia con cui la ragazza aveva pronunciato quella sentenza che non se la sentì di andare oltre con quella conversazione.
“E allora perché non te ne vai?”
“Perché, mi lascereste fuggire?” ribatté lei con sarcasmo.
“Rilassati… non credo che fuggirò. L’ho promesso ai miei fratelli… e poi credo di meritarmelo.”
Era vero, quella era la prima volta in vita sua che si sentiva così colpevole e indegna che credeva di non poter privare suo padre della soddisfazione di punirla. Ne avrebbe volentieri fatto a meno. Non avrebbe davvero voluto dover incontrare gli occhi di suo padre, ma sentiva di non avere altra scelta. Il poco entusiasmo con cui l’avevano salutata i suoi commilitoni le aveva fatto percepire quanto poco fosse benvoluta da quando aveva ripreso il suo status di donna. Stava combattendo contro le montagne, lei era una donna e, finché non avesse accettato la sua condizione e non vi si fosse adeguata, nessuno l’avrebbe compresa, aiutata, amata… Era sola nella sua stupida guerra personale e non avrebbe mai vinto.
Da una lettera:
Quando ero nell’esercito e tutti pensavano che fossi un ragazzo, mi sono fatta onore, ho dimostrato coraggio e ho rispettato i miei obblighi. Il fatto è che come ragazzo non ero niente male! E invece come donna sono da disprezzare…
Tu dovresti essere fiero di me! Potresti, se fossi il più giovane dei tuoi figli invece che tua figlia. E invece non riesci neppure a perdonarmi e io per prima mi disprezzo per tutto questo, per non aver capito che non basta agire coraggiosamente quando non si rispettano le regole… Quanto vorrei che tu potessi essere orgoglioso di me.”
Confortata sentì di poterle fare una domanda che da molti anni giaceva nascosta in fondo al suo cuore.
“Mamma… tu mi vuoi bene?”
Marie si sentì quasi offesa da quella richiesta inaspettata, ma si rese conto di quanta fragilità vi fosse nel cuore di quella ragazza così dura e scontrosa all’apparenza.
“Ma certo che ti voglio bene… una madre ama sempre i suoi figli, incondizionatamente… un giorno lo capirai.” rispose con calore.
“E allora perché mi hai lasciato?”
O forse lei era più simile a sua madre che un bel giorno se ne era andata per tornarsene alla vita che più l’aggradava, senza pensare alle conseguenze e senza troppi rimorsi… Vedendola da questa prospettiva non le sembrava più una gran signora e si sentì improvvisamente a disagio. Era come sua madre: egoista e capace di non guardare in faccia nessuno per seguire i suoi desideri, anche se lo faceva con meno eleganza. Ricacciò in fondo alla mente quel pensiero terribile, ripromettendosi di non farsi mai sfuggire una simile osservazione in presenza di sua madre, non poteva.
Sabrina preferiva tacere per non rischiare di dire qualcosa di sconveniente o che avrebbe messo in imbarazzo sua madre. Lei avrebbe preferito rimanere zitella piuttosto che sposare uno dei pretendenti delle sue finte amiche. Giovanotti privi di qualunque interesse per lei, che consideravano le donne come un’estensione delle loro proprietà in città, deliziosi soprammobili da aggiungere alla loro collezione, strumenti per fare figli senza alcun diritto di parola. Lei non aveva intenzione di fare quella fine… Come poteva dire questo in pubblico senza dare scandalo?
Non poteva essersi fatta ammaliare da qualche complimento… eppure il ricordo della sua voce le toglieva il respiro e le faceva stringere lo stomaco in una sensazione dolorosa, ma anche piacevole. Era una specie di tormento che le faceva venire i brividi, una sensazione mai provata prima e si sentiva le orecchie ronzare e il sangue scorrerle più veloce nelle vene, come in una sorta di strana eccitazione. Non aveva mai pensato a cosa si provasse a stare tra le braccia di un uomo. Forse adesso avrebbe capito le confidenze che si scambiavano le altre ragazze e che lei aveva sempre ignorato perché prive di ogni interesse e significato.
Adesso avrebbe avuto materiale per partecipare alle loro conversazioni e scambiare opinioni e si stupì a non sentirsi sciocca a ripensare a quei pomeriggi noiosi. Chissà se anche quelle donnine inconsistenti, che tanto aveva disprezzato, avevano provato le stesse sensazioni che la stavano divorando. Era dunque al loro livello? Questo riuscivano a fare gli uomini? Rendere tutte le donne delle sciocche con lo stomaco in subbuglio?
Arrabbiata appallottolò la carta e la lanciò distante, lasciandosi andare al pianto: non sarebbe mai riuscita a scrivere quella lettera. Come poteva parlare di suo fratello? Come poteva chiedere perdono al padre quando l’aveva già fatto ed era stato rifiutato? Come poteva riprovarci ora che aveva definitivamente rovinato tutto mettendo in ridicolo sua madre, comportandosi in maniera irriverente e sfrontata con il suo corteggiatore e lasciandola a Boston dopo aver rivelato che sua figlia era stata arruolata nell’esercito? Non poteva davvero chiedere a suo padre di assolverla da tali colpe. I pettegolezzi dovevano aver già ucciso sua madre rovinandole la reputazione: aveva un’altra morte sulla coscienza.
L’unico pensiero che mi tormenta e che discuterei con te se fossi qui è che mi chiedo se tutto quello che è successo sia servito a qualcosa… Ho combinato un sacco di disastri: ho lottato con tutte le mie forze per difendere la mia indipendenza, sono stata irriverente e sfrontata con mio padre al punto da farmi cacciare di casa e mi sono pure arruolata… e alla fine eccomi qui, pronta a ricoprire il mio ruolo di donna, infilarmi di nuovo un bel vestito e sposarmi.
Non capisco come possa essere arrivata comunque a questo risultato dopo tanta strada… è stato tutto inutile?
Una guerra stupida e senza senso?
Non si può dunque cambiare il proprio destino?
Oppure il mio percorso, per quanto strano e tortuoso, alla fine ha cambiato proprio me stessa, portandomi a crescere, scegliere di essere comunque una donna e accettare il mio ruolo consapevolmente?
In modo non passivo?
Forse quello che mi rende diversa dalle altre è che io scelgo di essere una donna ogni giorno, scelgo di sposarmi per amore e non per convenzione, accetto la mia diversità ma pretendo rispetto per le mie peculiarità e non mi sento inferiore a nessun uomo. Non accetto tutte le regole imposte arbitrariamente dalla società e questo sarà sempre motivo di scontro, ma quelle che ho deciso di seguire hanno tutto il mio rispetto.
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