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Creato il 22 aprile 2014 da Francosenia

Gustav Landauer, rivoluzionario romantico
di Michael Löwy

Il socialista libertario Gustav Landauer è un personaggio singolare nel panorama del pensiero rivoluzionario moderno: e rari sono quelli che hanno espresso quanto lui, in tutta la sua forza sovversiva, la dimensione romantica della rivoluzione.
Che cos'è il romanticismo? Contrariamente alla doxa corrente, non può essere ridotto ad una scuola letteraria del XIX secolo, oppure ad una reazione tradizionalista contro la Rivoluzione francese - due proposizioni che possono essere ritrovati in un numero incalcolabile di opere scritte da eminenti specialisti della storia letteraria e della storia delle idee politiche. Si tratta piuttosto di una forma di sensibilità che irriga tutti i campi della cultura, di una visione del mondo che si estende dalla seconda metà del XVIII secolo fino ai nostri giorni, una cometa, il cui "nucleo" incandescente è la rivolta contro la civilizzazione industriale/capitalista moderna, in nome di alcuni valori sociali o culturali del passato. Nostalgico di un paradiso perduto - reale o immaginario - il romanticismo si oppone, con l'energia melanconica della disperazione, allo spirito quantificante dell'universo borghese, alla reificazione della merce, alla piattezza utilitarista e, soprattutto, al disincantamento del mondo. Quest'idealizzazione del passato porta sovente a delle posizioni tradizionaliste, conservatrici, persino reazionarie; ma questo non è sempre il caso. Esiste anche, nella storia del romanticismo, una corrente rivoluzionaria, che non comporta affatto un ritorno al passato, ma una deviazione, per mezzo del passato, verso un nuovo avvenire. Nel romanticismo rivoluzionario, cui appartengono a pieno titolo sia Jean-Jacques Rousseau che William Blake, William Morris e Gustav Landauer, la nostalgia delle epoche pre-capitaliste viene investito nella speranza utopica di una società libera ed egualitaria.

Nato il 7 aprile 1870 in una famiglia borghese ebrea nel sud-ovest della Germania, scrittore, filosofo, critico letterario, amico di Martin Buber e di Kropotkin, redattore della rivista libertaria Der Sozialist (1909-1915), Gustav Landauer è stato un anarchico militante. Nell'aprile del 1919, diverrà commissario del popolo alla Cultura nel corso dell'effimera Repubblica dei Consigli di Baviera, e verrà assassinato dall'esercito il 2 maggio del 1919, dopo la sconfitta della rivoluzione, a Monaco. La sua opera, profondamente originale, è stata definita da alcuni moderni ricercatori come "un messianismo ebraico a carattere anarchico". Landauer è innanzitutto un romantico rivoluzionario ed è a partire da questa premessa che si può spiegare tanto il suo messianismo quanto la sua utopia libertaria. In realtà, il romanticismo rivoluzionario si manifesta nella sua visione del mondo in modo pressoché "ideal-tipico": difficilmente si può immaginare un altro autore in cui passato ed avvenire, conservatorismo e rivoluzione, siano così strettamente intrecciati, e così intimamente articolati. Se esiste un modello compiuto del pensiero restauratore/utopico nell'universo culturale del XX secolo, è nell'opera di Landauer che lo si può trovare.
La sua opera è sorprendente, tanto per la sua ricchezza quanto per la sua unità spirituale. Oltre "La Rivoluzione", pubblicato nel 1907 in una collezione di monografie sociologiche edite da Martini Buber, i suoi scritti principali sono "L'appello al Socialismo", del 1911 (un'opera di filosofia sociale libertaria), uno studio su Shakespeare in due volumi, che è diventato un classico della critica letteraria tedesca, una raccolta di articoli contro la guerra, e due raccolte di articoli letterari e politici pubblicati sempre da Buber dopo la morte del suo amico: "L'Uomo in divenire" e "Inizio". A questi ci sarebbe da aggiungere anche un romanzo, "Il predicatore di morte" (1893), una raccolta di racconti, "Il potere ed i poteri" (1903), un'opera filosofica, "Scetticismo e Mistica" (1903), una collezione di lettere sulla Rivoluzione francese, diverse traduzioni (Maestro Eckhardt, Etienne de la Boétie, Proudhon, Kropotkin) e due volumi di corrispondenze.
In un articolo autobiografico, scritto nel 1913, Landauer descrive l'atmosfera della sua giovinezza come una rivolta contro l'ambiente familiare, come lo "scontro incessante di una nostalgia romantica contro le strette barriere del filisteismo". Cosa significa per lui il romanticismo? Fra le sue carte, presso l'Archivio Landauer di Gerusalemme. c'è una nota che spiega le sue idee circa questo soggetto: il romanticismo non va compreso né come "reazione politica (Chateaubriand)" o "medievalismo tedesco-patriottico", né come "scuola letteraria". Quello che hanno in comune il Romanticismo, Goethe, Schiller, Kant, Fichte e la Rivoluzione francese, è il fatto che sono tutti degli anti-filistei - termine, "filisteo", che, nel linguaggio culturale del XIX secolo, designa la ristrettezza, la meschinità e la volgarità borghese. Oltre ai poeti romantici - soprattutto Hölderlin, che egli paragona, in una conferenza del 1916, ai profeti biblici! - è a Nietzsche che più frequentemente si richiama nei suoi scritti. Ma, contrariamente all'autore di Zarathustra e alla maggior parte degli altri critici romantici della civiltà moderna, il suo orientamento è fin dall'inizio socialista e libertario. Questo perché si identifica con Rousseau, Tolstoj e Strindbergh, nei quali ritrova la fusione armoniosa tra "rivoluzione e romanticismo, purezza e fermentazione, santità e follia ..."

La filosofia romantica della storia di Landauer viene espressa nl modo più sorprendente nel saggio "La Rivoluzione" (1907). E' un'opera affascinante, anche se il suo argomentare è a volte confuso ed il suo progetto rivoluzionario rimane troppo vago. Contrariamente ai socialisti della II Internazionale, Landauer non crede affatto al progresso economico, o meglio, piuttosto, ritiene che nel quadro del capitalismo i progressi tecnici si ritorcano contro gli sfruttati. A suo parere "tutti i progressi economici e tecnici, con l'ampiezza che hanno raggiunto, sono stati integrati in un sistema di disorganizzazione sociale che fa sì che ciascun miglioramento dei mezzi dei lavori e ciascuna facilitazione del lavoro aggravi la situazione di coloro che lavorano". Ma la sua principale critica al "progresso", alla modernità e all'era industriale, è che essi hanno portato al dominio assoluto del "vero Anticristo", del "nemico mortale di quello che era stato il vero cristianesimo o lo spirito della vita": lo Stato moderno. Landauer appartiene - come William Morris, Ernst Bloch ed altri - ad una corrente all'interno del romanticismo che si potrebbe definire come gotico-rivoluzionaria, nella misura in cui è affascinata dalla cultura e dalla società (cattolica) medievale, dove impianta una parte del suo progetto socialista. In contraddizione totale con la dottrina del progresso, dominante in seno al movimento operaio e socialista della sua epoca, per il quale il Medioevo non è altro che un'epoca di superstizione ed oscurantismo, egli considera l'universo medievale cristiano come una "summa culturale", un periodo di sviluppo e di pienezza, grazie all'esistenza di una società fondata sul principio della stratificazione: un insieme formato da molteplici strutture sociali indipendenti - gilde, corporazioni, leghe, confraternite, cooperative, chiese, parrocchie - che si associano liberamente. In questo quadro - un po' idealizzato, va detto - della società medievale, uno dei tratti più importanti, per il filosofo libertario, è stata l'assenza di uno Stato onnipotente, il cui posto era occupato dalla società, da una "società di società". Non nega, certamente, gli aspetti oscurantisti, ma si sforza di relativizzarli: "Se mi si obietta che c'è stata anche questa e quella forma di feudalesimo, di clericalismo, d'inquisizione, qui e là, io non posso rispondere altro che lo so bene, eppure ..." L'essenziale ai suoi occhi era l'alto grado di civilizzazione del mondo gotico, grazie alla diversità delle sue strutture e alla sua unità: un solo spirito abitava gli individui ed assegnava loro degli scopi supremi.
Invece, tutta l'era moderna che si apre con il XVI secolo è, ai suoi occhi, "un periodo di decadenza e quindi di transizione", un periodo di "rottura di quel fascino unificante che riempie la vita sociale", in breve, un'epoca in cui sparisce lo spirito a vantaggio dell'autorità e dello Stato. In questo passaggio nefasto, egli attribuisce un ruolo chiave a Martin Lutero, che considera come uno dei responsabili principali della "separazione della vita dalla fede, e della sostituzione dello spirito con la violenza organizzata"; non gli perdona di aver preso le parti dei signori contro i contadini insorti e di aver consacrato "il principio del cesarismo", l'autorità intoccabile dei principi. Detto tra parentesi, questa viva antipatia per il fondatore della Riforma era condivisa da molti socialisti tedeschi contemporanei, da Karl Kautsky ad Ernst Bloch.
In questo lungo tragitto che va dal declino dello spirito comune cristiano (medievale) allo sviluppo del nuovo spirito comune dell'avvenire socialista, le rivoluzioni sono il solo momento di autenticità, il solo vero "bagno di spirito": "Senza questa rigenerazione temporanea, non potremmo continuare a vivere, saremmo condannati a soccombere." Il precursore delle rivoluzioni anti-autoritarie, secondo Landauer, è Petr Chelcicky, profeta hussita del XIV secolo, "un anarchico cristiano in anticipo sui suoi tempi", che aveva individuato nella Chiesa e nello Stato "i nemici mortali di tutta la vita cristiana". La prima, e la più importante, rivoluzione moderna è la guerra dei contadini di Thomas Münzer e degli anabattisti, i quali "avevano tentato un'ultima volta, e per molto tempo, di cambiare la vita, tutta la vita", e di "stabilire quel che era esistito all'epoca dello spirito". La lotta lotta è proseguita con i monarcomachi cristiani e tutti i movimenti anticentralisti che testimoniano gli "sforzi della tradizione per ripristinare le vecchie istituzioni delle federazioni degli ordini e dei parlamenti ..." Nondimeno, Landauer diffida di quello che definisce "le rivoluzioni di Stato", che comprendono la rivoluzione inglese - per la quale nutre solo disprezzo - quella americana e quella francese. Quest'ultima, ai suoi occhi, ha il solo merito di essere stata portatrice del principio di fraternità: "Ci sono parole che basta andare a cercare nella sfera in cui sono nate, per lavarle dalla polvere e dagli insulti dettati dalla frivolezza e dalla ristrettezza mentale. Dalla Rivoluzione francese prendiamo quella di "fraternità" ed è da essa che proviene la gioia che appartiene a quella rivoluzione, gli uomini sentivano allora di avere dei fratelli e, non dimentichiamolo, delle sorelle". Se tutte queste rivoluzioni hanno finito per impantanarsi, ciò non è dovuto solo all'ambizione ed allo spirito di parte dei capi, o all'accerchiamento della Repubblica da parte dei suoi nemici, ma al fatto che non è possibile "risolvere i problemi sociali con gli strumenti di una rivoluzione politica."
Che ne avviene allora dell'utopia? "La Rivoluzione" è uno dei primi libri, in lingua tedesca, che restituisce, all'inizio del XX secolo, il suo senso positivo al concetto d'utopia - dopo il celebre "Socialismo utopistico e Socialismo scientifico" di Friedrich Engels, nel 1880 - e di farne il vettore principale di un pensiero politico rivoluzionario. Landauer non definisce chiaramente ciò che intende per utopia, ma la descrive come "un principio sorto in epoca lontana, che attraversa i secoli a grandi passi per poi immergersi nel futuro". Mentre gli approcci usuali concepiscono le utopie come delle immagini di un avvenire desiderabile, l'autore de La Rivoluzione mette in luce, grazie alla sua sensibilità romantica, la dialettica tra il passato ed il futuro che le dà dorma: tutte le utopie nascondono in sé "il ricordo entusiasta di tutte le utopie precedentemente conosciute". Come si formano le utopie? Attraverso "una combinazione degli sforzi e delle tendenze della volontà individuale, sempre eterogenee ed isolate, ma che, in un momento di crisi che cristallizza entusiasmo ed ebbrezza, sembrano rassomigliarsi in tutto" nella prospettiva di creare una vita sociale senza ingiustizia, opponendosi alla "topia", cioè a dire al vasto conglomerato di vita sociale in uno stato di relativa stabilità. Quanto alla rivoluzione, essa non è altro che "il percorso che procede da un'utopia all'altra", da una stabilità relativa ad un'altra stabilità relativa - una proposizione che si avvicina pericolosamente ad una concezione ciclica della storia, ispirata dall'Eterno Ritorno di Nietschze, dove ciascun'utopia diventa "topia" a sua volta. Cosa ne rimane del socialismo in una tale prospettiva circolare? Landauer sembra suggerire che non si tratta di una rivoluzione politica, ma di una rivoluzione sociale - una sorta di rigenerazione sociale e spirituale radicale - che attende l'avvento del socialismo libertario. Nonostante qualche imprecisione concettuale e teorica, questo studio pionieristico va ad esercitare una profonda influenza sul rinnovamento delle riflessioni sull'utopia all'inizio del XX secolo, in particolare nei lavori di Ernst Bloch e di Karl Mannheim.

L'appello al socialismo del 1911, sviluppa e concretizza i temi delineati ne "La Rivoluzione". Landauer attacca direttamente la filosofia del progresso comune ai liberali ed ai marxisti della II Internazionale: "Nessun progresso, nessuna tecnica, nessun virtuosismo ci porterà salvezza e felicità." Rifiutando "la fede nell'evoluzione progressista (Fortschrittentwicklung)" dei marxisti tedeschi, ci offre la sua propria visione del cambiamento storico: "Per noi la storia umana non consiste affatto di processi anonimi, e non è solo un accumulo di innumerevoli piccoli avvenimenti ... Laddove per l'umanità è avvenuto qualcosa di alto e grandioso, sconvolgente ed innovativo, sono stati l'impossibile e l'incredibile ... che hanno fatto la differenza." Il momento privilegiato di quest'irruzione del nuovo è appunto la rivoluzione, quando "l'incredibile, il miracolo si muove verso il regno del possibile." E' dunque a giusto titolo che Karl Mannheim vede nell'anarchismo radicale, e ed in particolare nel pensiero di Gustav Landauer, l'erede del millenarismo anabattista e perfino "la forma moderna relativamente più pura della coscienza chiliasta". Si tratta di una forma di pensiero che rifiuta ogni concetto di evoluzione, ogni rappresentazione di progresso: nel quadro di una "differenziazione qualitativa dei tempi" la rivoluzione viene perseguita come un'irruzione (Durchbruch), un istante improvviso, un vivere adesso (Jetzt-Erleben). Quest'analisi è tanto più impressionante, quando si applica non solo a Landauer, ma anche, con qualche sfumatura, a Martin Buber, a Walter Benjamin (ricordando il suo concetto messianico di Jetztzeit) e a molti altri pensatori ebrei tedeschi.
Così come per i romantici "classici", la Comunità medievale occupa un posto d'onore nella problematica restauratrice di Landauer. Ritorna, ne "L'Appello per il socialismo", sulle virtù spirituali del Medioevo cristiano - nella sua dimensione "cattolica" universale, e non "tedesco-patriottica" - quest'epoca di "altezza eclatante", dove "lo spirito dà un senso alla vita, una sacralizzazione ed una benedizione". Egli vede nei comuni e nelle associazioni medievali, l'espressione di una vita sociale autentica e ricca di spiritualità, che si oppone allo Stato moderno, "questa forma suprema di non-spirito" e rimprovera al marxismo di negare affinità tra il socialismo dell'avvenire ed alcune strutture sociali del passato, come le repubbliche urbane del Medioevo, i mercati rurali e le comunità agrarie russe. Tuttavia, Landauer non ha niente del passatista; non sogna affatto, come Novalis ed altri romantici conservatori, di restaurare la cristianità medievale. Anarchico convinto, si richiama all'eredità di La Boétie, Proudhon, Kropotkin, Bakunin e Tolstoj, per opporre allo Stato centralizzato la rigenerazione della società attraverso la costituzione di una nuova rete di strutture autonome, ispirate alle comunità pre-capitalistiche. Non si tratta di tornare al passato medievale, ma di dare forma nuova all'antico e di creare una cultura con i mezzi della civilizzazione. Concretamente, questo significa che le forme comunitarie del passato, che si sono preservate nel corso dei secoli di decadenza sociale, devono diventare "le gemme ed i cristalli della vita della cultura socialista a venire". Le comuni rurali, con le loro vestigia dell'antica proprietà comunale e le loro autonomie dallo Stato, saranno il sostegno alla ricostruzione della società; i militanti socialisti s'istalleranno nei villaggi, per aiutare a resuscitare lo spirito del XV e del XVI secolo - lo spirito dei contadini eretici e rivoltosi del passato - ed a ristabilire l'unità (spezzata dal capitalismo) fra agricoltura, industria ed artigianato, fra lavoro manuale e lavoro spirituale, tra insegnamento ed apprendistato. In un saggio su Walt Whitman, Landauer paragona il poeta americano a Proudhon, sottolineando come entrambi uniscano "spirito conservatore e spirito rivoluzionario, individualismo e socialismo". Questa definizione si applica rigorosamente alla sua visione sociale del mondo, dove la dialettica utopica lega insieme tradizione ancestrale e speranza per l'avvenire, conservazione romantica e rivoluzione libertaria. Come osserva Martin Buber, nel suo "Utopia e socialismo", al capitolo "Landauer": "Ciò che ha in testa, è proprio un conservatorismo rivoluzionario: una scelta rivoluzionaria degli elementi dell'essere sociale che meritano di essere conservati e che sono validi per una nuova costruzione."
Avversario risoluto della guerra del 1914, Landauer reagisce con una speranza appassionata alla Rivoluzione d'Ottobre del 1917, in Russia, che considera come un avvenimento di un'importanza primordiale, ivi compreso per l'avvenire degli ebrei. In una lettera a Buber del 5 febbraio 1918, soiega la sua posizione; contrariamente al suo amico che continua a volgere lo sguardo verso la Palestina, scrive: "Il mio cuore non è mai stato attratto da quei paesi, e non penso che debbano essere necessariamente la condizione geografica di una comunità ebraica. Il vero evento, per noi importante e che può essere decisivo, è la liberazione della Russia (...) in questo momento mi sembra preferibile - malgrado tutto - che Bronstein non sia professore all'Università di Jaffa (in Palestina), ma che sia Trotsky in Russia". Quando scoppia la rivoluzione in Germania (novembre 1918) saluta con entusiasmo "lo Spirito della Rivoluzione" di cui paragona l'azione a quella dei profeti biblici. Nel gennaio del 1919, scrive una nuova prefazione alla riedizione de "L'appello al socialismo", dove il suo messianismo si manifesta in tutta la sua drammatica intensità, sia apocalittico-religiosa che utopico-rivoluzionaria: "Il Caos è qui ... Gli spiriti si risvegliano ... perché dalla Rivoluzione ci viene la Religione - una Religione dell'azione, della vita, dell'amore, che rende felici, che porta la redenzione e pervade tutto." A suoi occhi, i consigli operai che si sviluppano in Europa sono "dei partiti organizzati del popolo che si auto-gestiscono ed è probabile che saranno considerati come una nuova forma delle comunità autonome del Medioevo". Ciò permette di comprendere perché si impegni nell'effimera Repubblica dei Consigli operai di Baviera (aprile 1919), dove sarà - pur solamente per pochi giorni - il commissario del popolo alla pubblica istruzione. Quando la Repubblica dei Consigli cadrà, verrà imprigionato ed assassinato dalle guardie bianche. In un articolo scritto a caldo, Martin Buber gli rende l'ultimo omaggio: "Landauer è caduto come un profeta ed un martire della comunità umana a venire."

- Michael Löwy -

fonte: Tumultes


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