Deve essere amaro, ma anche se dimentico di annullare lo zucchero al distributore automatico, mi limito a non mescolare, la miscela densa al fondo mi piace.
Ristretto, normale, lungo, americano? Ognuno ha il suo momento.
Il primo caffè del mattino, scorrendo le notizie sul web, dev'essere ristretto (nonché rigorosamente amaro). Un'ora dopo, con la colazione, si comincia ad allungare, per finire nel lunghissimo a metà mattinata. Strettissimo a chiusura del pasto, si prosegue così allungando e accorciando per seguire il bioritmo della giornata.
Perché l'effetto del caffè sulla produttività al lavoro è evidente e documentato: «A mathematician is a machine for turning coffee into theorems», ebbe a dire il matematico ungherese Paul Erdős; un effetto simile, adeguando al ribasso la scala e cambiando settore di attività, capita anche a me.
Non so se prevalga l'effetto chimico della caffeina, oppure se semplicemente i neuroni necessari al rituale della tazzina si stacchino, lasciando tutti gli altri a riordinare il tavolo da lavoro virtuale nella testa.
Sta di fatto che, tazza fumante a sinistra del foglio, la mano destra riprende con decisione a tracciare idee che sembrano uscire dal nulla: ecco, bastava fare così. Merito del caffè, probabilmente.
Ma la tazza di caffè accompagna anche i momenti di relax. Quando, come adesso, annoto qualcosa sul mio blog, o quando, ad esempio, cerco una faccia mimetizzata tra mille chicchi di caffè [nell'immagine, presa da:Moillusions.com].
Eccola! Merito del caffè che sto sorseggiando? Senza dubbio.
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