Coming out nel mondo dello sport

Da Psicologiagay
 

E’ di questi giorni la notizia del coming out di un giovane calciatore svedese, Anton Hysen, pubblicata sul Corriere. Anton Hysen è il primo calciatore ad essersi dichiarato gay nel suo Paese; prima di lui ricordiamo Justin Fashanu in Inghilterra nel ’90, morto suicida otto anni dopo.

Anton Heysen

Sempre nel calcio, il primo campione a dichiarare la propria omosessualità fu Wilson Oliver, nel 1986, vittima di discriminazioni omofobe che lo costrinsero ad abbandonare rapidamente la carriera. Allargando lo sguardo su altre discipline sportive, il campione di cricket Steven Davies ha dichiarato due mesi fa di essere gay, seguendo l’esempio del rugbysta Gareth nel 2009.

Fino ad oggi, in Italia si contano pochi calciatori o allenatori dichiaratamente gay, pur non mancando nel calcio una rappresentanza gay, non facilmente quantificabile. Uno dei maggiori problemi inerenti la conoscenza di questo fenomeno, infatti, riguarda la massiccia omertà diffusa nell’ambiente. Se è vero, infatti, che abbondano le interviste a conduttori televisivi gay (un noto esempio è Paolo Colombo) e ad allenatori per trovare rappresentanti gay nel calcio, d’altra parte nessuno si permette di divulgare nomi, se non in forma di gossip giocoso (vedi ad esempio le foto e i commenti su http://www.notiziegay.com/?p=73942).

Nell’immaginario collettivo, il calcio rappresenta l’attività sportiva simbolo per eccellenza della virilità e del machismo: per questo sembrerebbe più difficile per un gay dichiarare il proprio orientamento, rischiando di diventare oggetto di discriminazione sessuale da parte della tifoseria e della stampa.

Soprattutto, l’omofobia serpeggiante nel mondo sportivo e, in particolare, in quello calcistico, è mantenuta dagli interessi economici delle società sponsor, intenzionate a proteggere l’immagine di cui i calciatori sono testimonial, coprendo gli scandali attraverso ricche ricompense o sbarazzandosi di quanti espongano apertamente le proprie preferenze sessuali. Diversi contratti calcistici, inoltre, proibirebbero esplicitamente ai calciatori di dichiarare il proprio orientamento sessuale.

In ogni modo, sembrerebbe che il tabù dell’omosessualità colpisca maggiormente il calcio maschile, piuttosto che quello femminile. Nel calcio femminile, infatti, l’omosessualità sarebbe generalmente accettata senza problema. Anzi, spesso si pensa che tutte le calciatrici siano lesbiche. In Germania, ad esempio, Nadine Angerer ha dichiarato di essere da tempo bisessuale e la sua collega portiere, Ursula Holl, ha dichiarato il proprio orientamento sessuale dopo essersi sposata: se non si fosse sposata la sua omosessualità sarebbe rimasta una cosa privata, ma la decisione di contrarre matrimonio ha portato una esplicita ammissione in pubblico. La reazione dell’opinione pubblica e degli addetti ai lavori ha dimostrato come l’omosessualità sia più accettata nel mondo del calcio femminile. E questo conferma l’andamento globale per cui è più tollerato il lesbismo che l’omosessualità maschile.  Anche Siegfried Dietric, manager dell’1. FFC Frankfurt, la squadra di maggior successo del calcio femminile tedesco degli ultimi anni, condivide le valutazioni della Holl, e si augura che nei prossimi anni anche il mondo del football maschile si adegui all’atteggiamento che già si riscontra tra le donne.

Negli ultimi tempi, in Italia abbiamo assistito a varie dichiarazioni omofobe da parte di personaggi importanti del calcio: “L’omosessualità è peccato” (Nicola Legrottaglie, giocatore del Milan, ex Juventus), “In 40 anni di carriera non ho mai visto un gay nel calcio, non credo ci siano mai stati” (Marcello Lippi, allenatore, campione del Mondo), “Odio la gente omosessuale” (Tim Hardaway, ex giocatore di Basket NBA).

Di fronte a queste affermazioni, la decisione dei calciatori gay di mantenere privato il proprio orientamento sessuale è certamente da rispettare, sebbene sappiamo quanto possa essere importante l’esempio di persone “famose” serene rispetto a questo aspetto della loro vita.

John Amaechi, atleta gay del basket americano, qualche anno fa aveva  lanciato un amaro messaggio ai giovani sportivi omosessuali: non uscire allo scoperto o farlo solo molto tardi, per non rinunciare alla propria carriera sportiva.

E’ il caso di Eudy Simelane, capitano 31enne della nazionale di calcio sudafricana e dichiaratamente lesbica, uccisa tre anni fa alle porte di Johannesburg, dopo uno stupro di gruppo “correttivo” e numerose coltellate, allo scopo di cambiare il suo orientamento sessuale.

Ciò che conforta, nel clima di omofobia diffusa, è il moltiplicarsi di associazioni e gruppi sportivi di comunità LGBT, a livello nazionale ed internazionale.

Inoltre, i mass media ci informano di continue battaglie di successo contro le discriminazioni gay nel mondo sportivo. Recentemente, ad esempio, la star del basket americano Kobe Bryant ha dovuto pagare una multa di centomila dollari per aver insultato un arbitro in termini anti-gay.

Se lo sport cura il benessere fisico come quello mentale e spirituale delle persone, speriamo che contribuisca a promuovere una mentalità più aperta alle differenze e sensibile ai diritti, aiutando a superare i tabù ancora presenti sull’omosessualità.

A cura delle dott.ssa Ilaria Peter Patrioli e Paola Biondi


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