Commento al Rabbino Bahbout. – Risposta ad una Lettera aperta dello stesso.

Creato il 18 dicembre 2012 da Tnepd

Al quotidiano di Napoli
“Il Mattino”
e p. c. al Sindaco di Napoli

Vorrei commentare con dei numeri la Lettera aperta del rabbino Shalom Bahout, da voi pubblicato e di cui leggo nella rassegna stampa sionista all”URL:

http://www.informazionecorretta.it/main.php?mediaId=18&sez=120&id=47383

Intanto Lettera «aperta» cosa significa? Che ognuno la può liberamente leggere e liberamente commentare?

E quel che faccio, riservandomi una ripubblicazione nel mio blog, con possibili rielaborazioni e ampliamenti nonché correzione di refusi e miglioramenti formali.

Parto intanto dall’oggettività dei numeri.
Ho visitato di recente in Londra la Exibition “Britain in Palestine”, da cui è stato tratto il libro-catalogo a cura di Karl Sabbagh, dove a pagina 11 si trova una interessante tabella, che riporto solo parzialmente, commentando poi brevemente i dati e le implicazioni.

Nel 1860-61 vi erano in Palestina 325.000 musulmani arabi, 31.000 cristiani pure arabi, che fanno in tutto 356.000 arabi a fronte di soli 13.000 ebrei autoctoni e pari al 3,5% della popolazione complessiva. Gli studiosi sanno che dal 1882 incomincia in Palestina una immigrazione specificamente sionista, che fino al 1915-18 era malvista dalla stessa popolazione ebraica autoctona.

Poiché il rabbino Bahbout parla di suo padre, nonno e bisnonno potrebbe essere interessante sapere se il suo radicamento in Palestina è di prima o dopo il 1882 e se è un autoctono del 1860-61, quando gli “ebrei” residenti erano il 3,5% della popolazione complessiva, all’interno della quale vivevano in piena armonia.

Appaiono poi del tutto fuori luogo, da un punto di vista religioso-teologico, storico-culturale e politico le pretese del rabbino Bahbout nei confronti di Abu Mazen, poste come pre-condizione al conferimento della eventuale cittadinanza onoraria di Napoli, per la quale sarebbe in linea di principio che fossero sempre sentiti in tutti i casi con referendum i cittadini, che non possono vedersi imporre della concittadinanze, che potrebbe essere gradite o non gradite, ma sempre giustifica su una base etica se si vuole conservare la propria di identità e non dover riconoscere quelle altrui, mortificando e distruggendo la propria.
Non si capisce perciò in quale veste ed a quale titolo parla o intende parlare il rabbino Bahbout. La confusione dei ruoli non aiuta a comprendere cosa egli voglia non tanto dal Sindaco di Napoli, ma da quanti leggono la sua Lettera aperta e sono legittimati ad esprimere un giudizio, anche in dissenso, sul contenuto della Lettera e sugli argomenti addotti.

Non so il Sindaco di Napoli, ma personalmente non ho bisogno dei consigli del Rabbino Bahbout, ed anzi potrei io dargliene a Lui stesso ed Sindaco di Napoli, ma avendo di entrambi grande rispetto è cosa che non mi permetto di fare. Mi difendo soltanto dai “giudizi”, meglio “pregiudizi” del Rabbino Bahbout, resi pubblici dal Mattino.

Poiché dunque il governo ottomana teneva sotto controllo l’immigrazione sionista, nel 1914-15 (secondo la tabella citata) la percentuale ebraica della popolazione complessiva di 722.303 abitanti sale ad appena il 5,4 %, formata da autoctoni ed immigrati. È solo con il mandato britannico che si assiste ad una massiccia immigrazione ebraica, una vera e propria esplosione, anzi una invasione coperta dal potere britannico, chiaramente volta ad espellere la popolazione palestinese autoctona, come a dire: “ti entro in casa e ti caccio fuori”. È istruttivo lo studio della storia della Palestina durante il Mandato britannico. E da qui si dovrebbe incominciare quello studio che il rabbino Bahbout raccomanda, ma in una interpretazione assai discutibile, forse facendo aggio su una diffusa ignoranza al riguardo e soprattutto sulla scarsa propensione degli italiani a spulciare la storia della Palestina, quando – soprattutto a Napoli – devono ancora guardare bene al modo in cui è stata fatta l’unità d’Italia, anzi così malfatta che dopo 150 ne paghiamo ancora le conseguenze. Figuriamoci a dover andare a studiarsi la storia della Palestina e dell’immigrazione sionista, che ha portato alla espulsione e all’oppressione della popolazione autoctona palestinese.

Immaginiamo, se gli italiani, alle prese da decenni con una immigrazione clandestina, possano mai ammettere un simile filosofia ogni volta che si imbattono in un clandestino che lava loro il vetro della macchina ad un incrocio. Questa massiccia immigrazione, favorita dagli Alti Commissari Britannici, sionisti pure loro, provoca la reazione degli arabi nella grande rivolta del 1936-39, repressa nel sangue dagli inglesi. L’obiettivo principale dell’immigrazione ebraica sionista è stato sempre quello di diventare maggioranza in Palestina. Ma questo obiettivo viene raggiunto solo con la grande pulizia etnica del 1948. Naturalmente, conosco bene le favolette della propaganda israeliana al riguardo e non mi soffermo. Stupisce che un “rabbino” – suppongo un uomo religioso legato alla Torah – accolga nel suo bagaglio siffatti stereotipi del tutto propagandistici e privi di qualsiasi base scientifica ed etica. Ignoro quale sia la normale formazione culturale di un “rabbino”, cosa e come essi studino, come venga loro insegnata la storia, la filosofia, il diritto, l’etica.

Resta il fatto che 750.000 palestinesi furono espulsi dalla Palestina nel 1948 e 400 villaggi palestinesi furono letteralmente distrutti, rasi al suolo e cancellati dalla carta geografica. Il famoso museo israeliano, diventato una sorta di Altare della Patria, sorge su due di questi villaggi distrutti. Quando la propaganda rimprovera ad Ahmadinejad ciò che egli non ha mai detto, a proposito della “cancellazione” di Israele dalla carta geografico, stupisco come non venga notata che una simile cancellazione dalla geografica è stata fatta, ma dagli israeliani con i villaggi palestinesi da loro distrutti.

Mi chiedo se il “rabbino” Bahout pensa di avere una qualche relazione con i testi religiosi ebraici ed in particolare con la Torah, per come intesi e interpretati dai rabbini di Neturei Karta, che personalmente ritengo gli unici depositari della tradizione religiosa ebraica. Poco importa che oggi essi siano una minoranza, anzi come si dice oltraggiosamente “quattro gatti”, rispetto all’universo identitario ebraico, per il quali rinvio al fondamentale testo di Gilad Atzmon. Questo autore, che è un ebreo nato in Israele, ma emigrato in Inghilterra, e divenuto fedele cittadino britannico. Quando si dice “ebreo” egli distingue tre gruppi di persone: 1°) persone religiose legate alla Torah ed alla tradizione religiosa ebraica. Uomini e donne che vivono interamente nell’osservanza ai precetti della loro religione. Ed è certamente il caso degli ebrei di Neturei Karta. 2°) Persone che si trovano ad essere ebrei, semplicemente perché lo erano i loro genitori e vivono in un contesto sociale detto “ebraico”, ma possono essere perfino “atei” e dichiararsi pubblicamente tali. 3°) persone che antepongono la loro “ebraicità” ad ogni altra caratteristiva distintiva: per loro l’«essere ebreo» è più importante di ogni altra cosa. Il tema è di estrema delicatezza e la semplificazione eccessiva potrebbe essere fatale. Si rinvia prudentemente al libro di Atzmon, ora disponibile in italiano. È di questa terza categoria che si interessa Atzmon, ed alla luce del suo libro, ci sembra che la formazione culturale del rabbino Bahbout rientri in questa terza categoria, per la quale si rinvia ad Atzmon.

Gli “ebrei” del primo gruppo, i rabbini di Neturei Karta, ritengono che lo «stato di Israele» sia una bestemmia contro la Torah e che lo «stato di Israele» debba essere «smantellato» e che ai palestinesi debba essere restituito ciò che è stato loro tolto e tutti i torti debbano essere riparati.

Non sono un “ebreo” e non intendo entrare in questioni religiose ebraiche. Ricordo solo che per i rabbini di Neturei Karta quando si dice “Israele” si intende con questo termine un luogo dello spirito e della liturgia, non certo un concreto stato territoriale, sorto nel modo che si è detto. Ricordo ancora come nel libro di Ghada Karmi, profuga palestinese del 1948, si possa leggere la risposta che diedero due persone appositamente incaricate dai rabbini di Vienna che li avevano mandati in Palestina nel 1897 per studiare la fattibilità del progetto sionista emersa dal primo congresso di Basile.  Il telegramma recitava: “La sposa è bella, ma sposata a un altro uomo”, per indicare che quella terra era abitata dai palestinesi, e che non li si poteva far sloggiare.

Orbene, per concludere, la questione palestinese può essere vista oggi in due modi: sotto il profilo etico e sotto il profilo politico.

Un comune cittadino, che non è ministro degli esteri, che non sta in parlamento, che non ha potere di nessun genere, che è spesso in Italia oppresso come lo sono i palestinesi sotto l’occupazione israeliana, può solo giudicare la questione unicamente sotto il profilo etico. E ne viene fuori la verità contenuta nel detto popolare: “chi dintru ti metti, fori ti caccia”. È proprio quello che è avvenuta in Palestina con l’immigrazione ebraico-sionista, se si va a studiare in modo scientifico la storia dal 1882 ad oggi. Con la differenza però che i palestinesi non hanno MAI voluto l’immigrazione ebraica, quel genere di immigrazione ebraica, e fin dal primo momento si sono opposti in tutti i modi possibili alla Dichiarazione Balfour, che oltrettutto contraddiceva la “promessa”, poi tradita, che era stata fatta alcuni anni prima agli arabi, anche palestinesi, per indurli a rivoltarsi contro gli Ottomani, sotto i quali la storia ha largamente dimostrato che si trovavano meglio di quanto non si siano poi trovati sotto dominazione coloniale britannica e francese.

Se il Sindaco di Napoli pensa di dare una cittadinanza onoraria ad Abu Mazen, questa non è certamente meno arbitraria di quella concessa a Roma dal sindaco Alemanno, al soldato Shalit e se la memoria non mi difetta a quella conferita da amministrazioni precedenti a tal Foxman, capo dell’ADL, mentre mi sorprende come una cittadinanza onoraria non sia stata data a Mordecai Vanunu, che con grave oltraggio della sovranità italiana fu rapito in Roma dal Mossad… Ricordo che Mordecai Vanunu rivelò al mondo l’esistenza dell’atomica israeliana, di cui in una recente risoluzione l’ONU chiede ad Israele di render conto… Ma Israele non risponde, non ci sente da quell’orecchio, ed il segreto dell‘arsenale nucleare israeliano è il classico segreto di Pulcinella. Ma Israele e i suoi agenti propagandistici ci bombardano quotidianamente con l’atomica che oggi non esiste, che si teme possa esistere, e che per impedire possa esistere ci si vuol costringere ad una guerra con l’Iran, un paese e un popolo che al pari dell’estinto Regno borbonico non ha mai fatto guerra a nessuno!

Concludo, rigettando uno dei consueti topoi della propaganda israeliana: non dobbiamo guardare a quello che succede in Israele, ma a quello che succede altrove. Ebbene, il vigile al semaforo attraversato con il rosso risponde così al multato: io ora vedo te! Ma a parte questo vi è una questione di carattere generale. L’immigrazione ebraico-sionista in Israele ha carattere di unicità. Noi comuni cittadini, che esprimiamo giudizi “etici”, non possiamo concepire un sistema di relazioni fra i popoli, come quello storicamente verificatosi in Palestina, dove si è assistito nell’arco storico 1882-2012 ad una immigrazione che ha totalmente espulso e sradicato la popolazione autoctona.

E se domani la stessa cosa succedesse a Napoli, in Campania, in Calabria, in Italia?

Potremmo noi accettare di essere cacciati dalle nostre case, dai nostri paesi, dalle nostre città?

È quello che è successo in Palestina, dove Abu Mazen rispetto ad Hamas è il Quisling della situazione, a cui si vuol far firmare la rinuncia al “diritto al ritorno” dei profughi del 1948, riconosciuto e sancito dall’ONU, citato a favore solo per la «spartizione” (illegitima) della patria palestinese, ma osteggiato e vituperato per le innumerevoli risoluzioni con cui si condanna Israele, ed in ultimo per il riconoscimento con schiacciante maggioranza della statualità della Palestina.


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