La politica non è una partita di calcio e dunque lasciamo le metafore da deficienti sui risultati – 7 a 0, 5 a 2, 4 a 3 – alla propaganda piddina e agli ultras renziani e proviamo a ragionare sui fatti e sui numeri. Che il PD fosse destinato a prevalere in gran parte delle sette regioni in cui si votava era scontato: per la martellante propaganda televisiva di Renzi, perché tre di quelle sette regioni fanno parte del tradizionale insediamento storico dei degeneri eredi del PCI, perché di fatto il partito di Renzi è oggi pressoché l'unica proposta di governo che ai cittadini è consentito percepire e concepire con il disfacimento della destra berlusconiana, con l'emergere dell'inaccettabile (per la maggioranza delle persone al di fuori del “civile” nord) fascio-leghismo di Salvini, con l'incapacità dei 5 Stelle di diventare i promotori di un'alleanza politica e sociale che vada oltre i confini del grillismo, con la scomparsa della sinistra radicale. Le elezioni regionali designano dei “vincitori” solo grazie a truffaldini meccanismi elettorali maggioritari e per di più su due delle “vittorie” del PD grava una pesante ipoteca costituzionale-giudiziaria: sulla costituzionalità della legge elettorale umbra e sulla impresentabilità di Vincenzo De Luca.
Nei giorni che hanno preceduto le elezioni ho notato un grande e generoso impegno di alcuni volenterosi per convincere, in funzione antirenziana, gli astensionisti dell'importanza del voto: la realtà è che oggi, con la politica svuotata nella propria funzione da istituzioni sovranazionali non designate democraticamente (“il pilota automatico”), il voto non è altro che un mega sondaggio di opinione. Ebbene il sondaggio delle regionali, a cui peraltro metà degli elettori si è rifiutata di partecipare, conferma che, dopo un anno e mezzo di governo, la destra di Renzi ha la fiducia solo di una minima parte di italiani ed anzi vede scemare il proprio consenso. Semplicemente perché i risultati del suo governo sono fallimentari: sulla disoccupazione, sulla crisi, sull'impoverimento degli italiani, nel tentativo di attuare una autentica svolta autoritaria nelle istituzioni rappresentative, nella scuola, nell'ambito dei diritti civili e sociali. Il risultato di queste elezioni non indurrà peraltro ad un'inversione di rotta nel dispiegamento delle criminali e folli politiche di austerità conformi al dettato della UE piuttosto farà capire al parolaio fiorentino che, per continuare ad eseguire il mandato del grande capitale internazionale, deve venire a patti con vecchi pezzi di classe dirigente del suo partito e con la destra leghista-berlusconiana. Intendiamoci, a causa dei ben noti fattori di distorsione della volontà popolare alcuni dei quali ho sopra richiamato, Renzi resta di gran lunga il favorito per le prossime elezioni generali ma la sua vittoria non è affatto certa ed egli non è affatto al riparo da "scalate" ostili. Esiste una destra leghista-berlusconiana che è destinata a riorganizzarsi ed a riunificarsi. Renzi non ha i numeri per vincere al primo turno e in un ballottaggio si rovescerebbe nei suoi confronti l'odio e il disprezzo che ha saputo suscitare a destra come a sinistra. Si pensi soltanto come cambierebbero gli equilibri politici se la partecipazione al voto tornasse ai livelli fisiologici della democrazia italiana – il 70-80 per cento – riportando al voto dieci-quindici milioni di cittadini. Per quanto riguarda i risultati della Sinistra radicale, nelle varie configurazioni regionali, ancora una volta condannata ad una pressoché totale marginalità ed ininfluenza nel quadro politico generale, nessuna sorpresa e dunque nessuna delusione. Nel senso comune e nei sentimenti diffusi degli italiani oggi la parola Sinistra ha ben poco significato. C'è un grande lavoro da fare, una lunga marcia nel deserto che però non è nemmeno agli inizi. Dove sono le iniziative mutualistiche-solidali diffuse sul territorio di cui tutti si sono riempiti la bocca dopo la vittoria di Syriza in Grecia? Non si potrebbe realizzare quel poco che consentirebbe di ottenere almeno qualcosina in termini di risultati elettorali? E cioè un unico nome ed un unico simbolo a livello nazionale, un portavoce riconoscibile ed efficace sul piano della comunicazione politica, l'identificazione chiara e trasparente di chi è parte del progetto di costruzione dell'alternativa di Sinistra al PD mettendo fine alla geografia variabile delle alleanze, contraddittoria e opportunistica, che toglie ogni credibilità al nuovo “soggetto” in quel poco che resta del popolo della Sinistra?
In questo quadro viene da sorridere pensando ai sapientoni e ai saccenti chi irridono e storcono il naso di fronte al progetto di CoalizioneSociale della Fiom e di Landini. Landini parte da due dati di fatto incontrovertibili: oggi non esiste una rappresentanza politica dei lavoratori e dei ceti popolari, i tentativi di ricostruirla condotti nell'ambito meramente partitico non hanno spazio e possibilità di successo. E dunque la decisione conseguente è quella di ripartire dal tessuto sociale (così come Syriza e Podemos devono i propri risultati elettorali dal fatto di essersi innestati su una reale mobilitazione sociale di massa). Nessuno può dire se Landini possa riuscire nel suo progetto ma certamente qui siamo in presenza dell'unico tentativo anti-liberista che ha una consistenza ed una base di militanza reale (la Fiom) e non virtuale e fondato sulla fantasia. Credo che meriti almeno il nostro rispetto e la nostra attenzione.