Commerciante a Firenze, ribelle in Libia.

Creato il 07 agosto 2011 da Enmig

La storia di un immigrato libico tornato in patria a combattere

Mustafà

A chi si chiede se dietro i ribelli libici ci sia Al Qaeda, i fondamentalisti islamici o i servizi francesi, diamo un consiglio: venga a Firenze. In una dignitosa palazzina di un quartiere borghese abita un uomo, nato 37 anni fa a Misurata: Mustafà Elghowail. A Firenze dal 2002, all’inizio ha lavorato da imbianchino, oggi si dedica all’import-export. Ma quando scoppia la rivoluzione lascia la bella casa e l’attività in Italia, per imbracciare un kalashnikov e rischiare la vita in Libia. A Bengasi incontra un inviato del Fatto Quotidiano che riporta le sue parole: “Sto tentando di andare dalla mia famiglia a Misurata. Non ho mai preso un’arma in mano, ma non è difficile maneggiarne una: sono pronto ad addestrarmi e a partire. E’ il senso del dovere che mi ha

richiamato in patria, per combattere questo assassino.”  Nulla si era più saputo del suo viaggio controcorrente. Dopo 80 giorni è tornato e ci racconta.

Misurata era il fronte caldo, ostinatamente ribelle e accerchiata. Come ci sei arrivato? In nave da Bengasi aggirando Sirte, roccaforte del rais. Il porto era martellato dai Grad, la nave è stata ferma un’ora prima di entrare. La città era piena di carri armati e cecchini mercenari. I loro cadaveri portano documenti stranieri: Siria, Mali, Kenia; c’erano persino due cecchine colombiane. Contro di loro la gente si è unita: chi poteva combattere si è armato, chi poteva far da mangiare ai ribelli ha cucinato, chi aveva una barca ha portato armi e cibo da est.

Hai trovato i parenti? Il mio quartiere era occupato, mi chiedevo “ora dove vado?” Per fortuna un amico mi ha detto che erano tutti nei due quartieri liberi. Ho trovato i miei genitori con tanta tristezza negli occhi, ma stavano bene. Ho passato la sera con loro: mi hanno raccontato che le brigate di Gheddafi sparano ai civili, ai palazzi, con carri armati e bombe a grappolo. Quando sono arrivati, ommi (mamma) che è anziana e non cammina bene, era sul letto. Hanno sparato alla finestra, due proiettili l’hanno mancata di 40 cm. I miei sono scappati subito.

Poi ti sei arruolato? Sì, nella squadra di liberazione del mio quartiere. Mi hanno accolto con gioia, soddisfatti che ero giunto fin dall’Italia a dare una mano. Il dovere chiama qualsiasi persona, anche lontana.

Avevi paura? I primi due giorni, spesso ho pensato: questo secondo potrebbe essere l’ultimo. Dei compagni mi sono morti a fianco, sfigurati dai proiettili: un mio ex-studente, un amico di mio fratello. Muoiono tutti col sorriso, ti giuro, perché cadono tra le mura di casa, le vie del quartiere. Questo graffito (mostra la foto) l’ho fatto io: “Noi lottiamo per le nostre donne, la terra, la dignità. Voi uccidete per un assassino.” I fratelli libici che muoiono per Gheddafi sono sotto droga o magia: non capiscono che lui fa male al paese? Gli ufficiali ordinano di colpire moschee, neanche i cristiani arrivano a tanto.

Come avete stanato i cecchini? L’idea è stata di liberare casa per casa, bloccando le strade con container di sabbia trainati da camion. Si lancia il camion con la chiave inserita e quando è al punto giusto gli si spara alle ruote.

Al Qaeda è con voi? No. Ci vedete con la barba e pensate male. Non ci rasiamo quando siamo tristi e poi (sorride) la barba piace alle donne. Ci sono video su internet in cui i ribelli scherzano, fumano, ballano. Hai mai visto Bin Laden ballare?

In Egitto c’è la giunta militare. Temi altri dittatori? La gente ha rotto il muro della paura. Sono sincero, non è facile cambiare mentalità dopo 42 anni. Ma abbiamo voglia di cambiare. Non ci saranno giunte militari perché non c’è l’esercito, solo mercenari di Gheddafi.

Sbarcano molti libici da noi, li manda lui? Sicuro, fa queste cazzate per attirare l’attenzione del mondo. Noi pensiamo a combattere.

Perché sei tornato? Presa Misurata, i ribelli cercano professionisti per la guerra in campo aperto: non servo. Sono tornato perché la città è libera, la famiglia al sicuro. Il 23 mi sposo con una tunisina. Non ho rinviato le nozze: dobbiamo sposarci, continuare a vivere. Sono tornato perché amo Firenze tantissimo.

Liberata Misurata dal passato, il ribelle fiorentino-libico vuole costruirsi a Firenze un futuro. Se lo merita.

Articolo pubblicato su Il Nuovo Corriere di Firenze


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